27 Aprile 2021

CATEGORIA: Racconto

Albero in fiore

Sangue, saliva, sangue. Continuo a passare dall’ultima stagione di Friends all’Eredità su Rai uno. Pranzo alle 12 e cena alle 18.30, nessuna possibilità di scegliere. Era bello l’odore dell’asfalto bagnato, quando ci sono quei temporali passeggeri e sai che è passata la pioggia o che passerà a breve. Ho sempre odiato la pioggia. La sveglia suona alle sei in punto, piccoli confetti scendono in cascata, cinque rosa e tre bianchi. La porta si apre e un “come va? Febbre?” è l’unica frase che sento. I miei genitori sono passati oggi, due vetri insonorizzati dividono il toccarsi dei polpastrelli. Ti ho portato la pizza come piace a te, con la provola sopra. La voce metallica di mia mamma mi fa sentire meglio. Ho la Tubercolosi, TBC, tubercolosi attiva bacillare. Potete anche trovargli un soprannome carino, io la chiamo “Albero in fiore”. 

Il nome l’ho scelto dopo aver visto la TAC, un esame che ti rende radioattiva per qualche ora e dove si analizzano i polmoni dall’alto verso il basso. L’immagine che si vedeva era un piccolo alberello con tante ramificazioni, ricordava gli alberi che disegni alle elementari, quelli che sembrano nuvolette verdi piene di frutti e magari uno scoiattolo. Quando dici che hai la TBC in Italia nel 2021 la domanda principe è “Dove l’hai presa?” come se un esame potesse dirti nome e cognome dell’untore. In quel momento l’unico untore sei tu, un colpo di tosse basta a creare altri alberi in fiore a chi ti sta accanto. Malattie infettive, questo è il reparto in cui si finisce. Non è male come casa provvisoria, hai un letto dove puoi alzare e abbassare lo schienale a tuo piacimento e un bagno privato, nel mio caso più che privato. Le stanze sarebbero per due ma in un mondo di Covid non c’è nessuno con la TBC e in un mondo di TBC ce ne sono di tanti tipi e non tutte possono stare insieme. 

Visite. Due volte al giorno, parlo a un telefono collegato all’esterno e sempre da un telefono trovo risposta. Sono in prigione con la porta aperta. Nella mia stanza c’è una perdita d’ossigeno, tre infermiere sono passate, l’hanno guardata, hanno pensato che non andasse bene e poi mi hanno lasciato al televisore senza telecomando. Non abbiate paura che l’albero possa soffrire di solitudine, insieme a lui c’è una piccola caverna. In realtà è un buco nel mio polmone che si è creato nel tempo, ma ai dottori piace chiamarla caverna. Dare nomi botanici a problemi fisici li rende meno cattivi, ti fa sentire un “amico della natura”. Un doppio vetro e due telefoni. Sangue, saliva, sangue. 

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