27 Aprile 2021

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Bolaño e il confine

Roberto Bolaño nasce a Santiago del Cile nel 1953, dove non trascorre neanche un anno di vita. Con la famiglia, infatti, si sposta costantemente fino a stabilirsi a Città del Messico nel 1968. Qui trova un ambiente letterario stimolante e fremente, e, nonostante la decisione di abbandonare gli studi all’età di diciassette anni, si immerge in un mondo fatto di poesia, letteratura e arte. Nel 1973 decide di tornare in Cile per appoggiare le riforme socialiste di Allende, ma arriva qualche giorno prima del colpo di stato di Pinochet e viene arrestato. Liberato nel giro di una settimana, torna in Messico, dove fonda l’Infrarealismo, un movimento poetico d’avanguardia, che farà da spunto al romanzo I detective selvaggi. Nel 1977 emigra in Spagna, dove sopravvive facendo i lavori più disparati, fino al consolidamento della carriera come scrittore. Muore nel 2003 a Barcellona, dopo una vita di confini valicati e sfidati, lasciando da pubblicare la sua opera maggiore 2666, un romanzo corposo e complesso in cui sfida i limiti della letteratura tradizionale. 

 

Il rapporto tra Bolaño e il confine è sfaccettato e complesso. Comincia dalla biografia stessa dello scrittore e si snoda fino ai temi e alla struttura dei suoi libri. 

2666, ripubblicato da Adephi in un unico e non proprio tascabile volume di 963 pagine, è diviso in cinque parti, che potrebbero essere considerate come cinque romanzi a sé stanti. In realtà si tratta di un’opera-mondo, che mescola generi, linguaggi e storie: dalle vicende di un gruppo di critici e studiosi che morirebbe per una certa idea di letteratura, passando per il mistero di un autore fantasma, fino alla situazione in una terra di nessuno al confine tra Stati Uniti e Messico dove un’incessante e stremante catena di omicidi e di stupri non trova fine. 2666 è un contenitore oscuro e inebriante, che il lettore divora alla ricerca di un nesso tra tutti i frammenti che Bolaño compone con maestria e sempre con un tocco di ironia. 

«Queste idee o queste sensazioni o questi vaneggiamenti, d’altra parte, avevano per lui un loro lato gratificante. Si trasformava il dolore di molti nel ricordo di uno solo. Si trasformava il dolore, che è lungo e naturale e vince sempre, nel ricordo personale, che è umano e breve e sfugge sempre. Si trasformava un racconto barbaro di ingiustizie e di abusi, un ululato incoerente senza principio né fine, in una storia ben articolata dove c’era sempre la possibilità di suicidarsi. La fuga si trasformava in libertà, anche se la libertà serviva soltanto a continuare a fuggire. Il caos si trasformava in ordine, sia pure a spese di quello che è comunemente noto come senno.» (Roberto Bolaño, 2666)

Anche il resto della produzione di Bolaño, che attraversa varie forme tra cui la poesia e il racconto, gioca con il concetto di confine. Alcuni esempi sono I detective selvaggi, il romanzo della sua consacrazione, che racconta le avventure di un gruppo di poeti appartenenti al realismo viscerale, movimento che fa da controcanto all’Infrarealismo fondato dallo stesso Bolaño, tracciando un labile confine tra realtà e finzione. Ma anche nel romanzo d’esordio La pista di ghiaccio, la sua opera più tradizionale, Bolaño fa il verso al genere poliziesco, tracciando false piste per il lettore, che è forse l’unico a cui importa di scoprire la verità. Infatti, non c’è alcuna traccia di poliziotti. Così come Amuleto, un continuum che parte dall’esperienza e dalla voce di una poetessa rimasta chiusa nel bagno della facoltà di Lettere e Filosofia di Città del Messico durante l’assalto delle forze dell’ordine per disperdere le proteste degli studenti e arriva a trattare di sogni, profezie e aneddoti idioti. Il confine tra legge e giustizia, ordine e caos, verità e menzogna, è sempre presente nell’opera di Bolaño, che riesce a portare la sua scrittura al margine del confine tra delirio ed equilibrio

«Questa sarà una storia del terrore. Sarà una storia poliziesca, un noir, un racconto dell’orrore. Ma non sembrerà. Non sembrerà perché sono io quella che la racconta. Sono io a parlare e quindi non sembrerà. Ma in fondo è la storia di un crimine atroce.» (Amuleto, Roberto Bolaño)

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