27 Aprile 2021
CATEGORIA: NarrativaNormalità e diversità
Perché non riusciva ad entrare in empatia con i suoi coetanei? Si chiedeva Carlo. Doveva essere una cosa semplice, in fin dei conti le persone della tua età sono quelle più simili a noi. Il suo migliore amico, che conosceva dalle elementari, Andrea, lo aveva sempre tenuto stretto a sé, in quanto si conoscevano da quasi vent’anni ormai.
Quando la sua dottoressa gli aveva detto che la sua mente ragionava in maniera differente da quella della gran parte delle persone, Carlo aveva pensato che doveva essere una figata essere speciali. Poi si era reso conto che questa neurodiversità, come è definita la sua situazione dagli psicologi, era un vero e proprio macigno: poco alla volta aveva capito che era frustrante non sapere come comportarsi con gli altri ragazzi perché diversi da lui.
Tutti lo guardavano in maniera strana e spaventata quando, d’estate, al mare, cercava di conoscere in spiaggia le ragazze e cercava di farci amicizia: loro pensavano che lui desse loro fastidio o che avesse delle cattive intenzioni, quando in realtà lui aveva solo voglia di scambiare quattro chiacchiere.
E pensare che era un ragazzo molto intelligente, dicevano tutti: QI di 135, liceo classico portato a termine senza mai essere bocciato e senza mai neanche prendere un debito, seppur con tanta fatica nello studiare materie che proprio non gli interessavano e a sopportare una comunità scolastica stupida e priva di ideali e principi.
Aveva una passione fortissima, totalizzante, che però nessuno dei suoi amici condivideva: la bicicletta. Sin da quando aveva otto anni, nutriva un vero amore per la sua due ruote e aveva sempre seguito con grande attenzione le grandi corse ciclistiche come il Giro d’Italia e il Tour de France. Quando gli chiedevano cosa volesse fare da grande, rispondeva che il lavoro dei suoi sogni era fare il ciclista, di vincere il Tour de France e di sfilare per le strade della piazza della sua città con la maglia gialla di leader della classifica generale. Anche adesso che aveva 25 anni, si dilettava ancora a sfrecciare per le campagne lomelline con la sua Pinarello, anche se i sogni di gloria erano svaniti.
Con gli anni aveva sviluppato anche un’altra passione: quella per l’arte. Tutto era nato quando da bambino giocava ai videogiochi e seguiva con attenzione i cartoni animati alla televisione, poi col tempo capì che quei personaggi erano talmente affascinanti da volerli disegnare e catturare i loro colori sulla carta. Quando non sapeva cosa fare, e dopo aver finito il liceo di tempo vuoto ne aveva davvero tanto; siccome di frequentare l’università proprio non ne aveva voglia, prendeva carta e matita e creava draghi, cavalieri, maghi, supereroi. All’inizio le sue opere non erano granchè e gli amici lo deridevano, poi però dovettero ricredersi visti i suoi enormi miglioramenti e i veri capolavori che produceva. Passava le ore a cercare ogni minimo errore nei suoi fogli, anelando alla perfezione. Sua madre lo esortava a non trascorrere le ore della notte a correggere le minime sbavature, ma lui non riusciva ad ascoltarla, troppo preso dalla sua arte e dalla sua ambizione di miglioramento. Alla fine però questa maniacale e insana smania di disegno gli diede un futuro: una prestigiosa accademia d’arte lo aveva preso come allievo, e dopo ben cinque anni in cui aveva concluso poco, riprese a studiare.
Ma qualche problema rimaneva sempre: ancora adesso, quando doveva parlare in un gruppo o affrontare le novità che la vita quotidiana presenta, l’ansia lo assaliva e si sentiva disarmato di fronte alle sfide di tutti i giorni, così banali per tutti gli altri. Basterebbe solo essere un po’ più simili agli altri, pensare come loro, essere come loro, normali.
Ma in fin dei conti, quando una persona è normale? Quale è il limite che separa la gente cosiddetta normale da quella strana, particolare, insolita? Non è forse vero che al mondo siamo tutti diversi perché non esistono altri individui uguali a noi? In questa nostra diversità, non siamo forse tutti normali?
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