28 Aprile 2021

CATEGORIA: Racconto

Il Disadattato

(/dizada’t:ato/, maschile singolare, persona che non si è adattata all’ambiente circostante, asociale)

La cartella clinica è una provincia di un’anima solitaria. Finito il momento in cui il paziente la fissa, incredulo, inizia l’andirivieni di sogni, speranze e incubi; un posto isolato, che ti prepara a ciò che da quel giorno sarai. È un inferno dove sguazzi in diagnosi errate e cure improbabili, e proprio perché ci sguazzi ti senti comodo nella tua definizione di non normalità.

Sulla cartella di Jacopo Mazzini c’era scritto finalmente “paziente sano”.

Il paziente venne scortato fuori dal sanatorio in via Libertà e proseguì salutando tutti i medici uno a uno, stringendo le mani inguantate che poco prima regalavano pillole. Ringraziava con sorrisi generosi, come un miracolato alla vista del Salvatore. Posò gli occhi su una ragazza, che stava fissando il muro con gli occhi spalancati, rannicchiata mentre giocava con una ciocca di capelli azzurri, la salutò lanciandole un bacio con la mano.

Eppure, all’uscita è solo. Finalmente guarito.

“Lei signor Jacopo è il nostro capolavoro, un introverso che finalmente ha voglia di parlare, a non finire! Prenda queste pillole ogni volta che ne sentirà il bisogno, ovviamente con moderazione. Noi dell’Istituto San Demetrio siamo felicissimi del suo reinserimento nella società!” citava così la lettera che portava nel taschino della giacca.

Si sedette sugli scalini del sanatorio e iniziò a guardare il parco davanti la casa di cura, dei bambini giocavano insieme ai loro genitori.

Forse un po’ d’aria mi farà bene, pensò Jacopo, l’ossigeno è proprio quello che mi serve.

Una panchina era vuota, sopra di esso un signore guardava il suo cane rincorrere un ologramma di un gatto.

“È proprio una bella giornata, non trova?” disse il vecchietto, facendo un cenno con la coppola.

Jacopo estrasse il flacone delle pillole dalla tasca interna della giacca. Ne ingoiò un paio.

“Tutto bene?” domandò il vecchietto guardandolo confuso.

“Sì, benissimo, ci sono sedici gradi, è una favolosa mattina di aprile, si ricorda aprile 2019? La grande neve? Si ricorda il festival di quell’anno, bellissimo non è vero? Gli ologrammi suonavano quelle canzone così vecchie… la sto annoiando?”

“Ehm…” il vecchio richiamò l’ologramma con il palmare, dopodiché rispose “Guardi… penso di sì, nel senso non mi sta annoiando, ma ora penso che me ne andrò. Vieni Puffo!”.

“Saluti!” urlò Jacopo, con gli occhi spalancati e felicissimo “Finalmente ce l’ho fatta, grazie mille signore sconosciuto!”

 

La Radio Gamma è con te sulla Rete e nella tua auto, recitava così uno slogan dipinto sotto il logo della compagnia. Jacopo suonò il campanello di quell’enorme grattacielo a Monza. 

“Lei è qui per il colloquio, giusto signor Mazzini?”

Jacopo annuì, molto teso e con una goccia di sudore che gli gocciolava lungo la tempia destra.

“Vuole darsi una rinfrescata? L’amministratore è ancora fuori, la chiameremo quando sarà rientrato.”

Annuì di nuovo e si recò in bagno.

Vomitò nel gabinetto dopodiché ingoiò una manciata di pillole.

Forse ne prendo troppe, ma sono la mia unica via di fuga, pensò.

Quando tornò nella sala d’attesa e si sedette al posto assegnatogli, un sorriso sornione comparve sulle sue labbra. Notò il vicino, un uomo in giacca e cravatta come lui, e cercò di attaccare bottone.

Prima che potesse accennare qualcosa, la segretaria lo chiamò nell’ufficio.

L’amministratore gli strinse la mano. Jacopo si tastò a lungo i polpastrelli dopo la stretta, i suoi occhi erano spalancati e le pupille coprivano metà del suo bulbo oculare, ma sembravano all’amministratore normali.

“Ho sempre voluto parlare, sa, far su un discorso alle persone, intrattenerle, gioire con loro. Non ho potuto in passato, ora ci riesco, ora sono carico e riesco. È fantastico non trova, parlare e parlare. Come durante un discorso elettorale, non devi far parlare l’avversario, devi solo parlare tu e tutti ripeteranno a gran voce il tuo nome. Non crede nella politica lei? Forse è un mestiere peggiore della radio, ma io sono qui per fare radio, sì, fare il pre-sen-ta-to-re!”

“Aspetti, è positivo, non vi è dubbio, ma lei chi è di preciso?”

Le pillole scorrevano dritte nella mia gola, ogni volta che qualcuno mi rivolgeva la parola. Erano sempre di più. Avevo iniziato con tre, ora arrivo a sei prima di sentirne gli effetti sul parlato.

Prima di assumerle sono teso, vomito e mi sento come ingabbiato, castrato, non lucido.

Dopo mi sento incredibilmente felice e ho voglia di comunicarlo al prossimo.

-Signor Mazzini, lei ha assunto i farmaci prima di parlarmi vero?

Sì, ma pochi, solo tre pillole, nulla di che. Vede, sono lucido, riesco a interagire, non vado così forte ma riesco comunque ad ascoltare. Vede, è dura senza.

-Dura? Non sarà meglio smetterla e iniziare a guarire con una terapia comportamentale?

No, ci metterei troppo a guarire. Poi sento proprio il bisogno di prenderle, prenderle, prenderle.

-Mi racconti cosa è successo quella notte.

Subito. Ecco ero andato a quel locale, il Durante, sa, su Zara. Ecco, ero lì per il mio primo spettacolo, ero invitato dopo le trasmissioni radiofoniche, dovevo esibirmi, far ridere, parlare soprattutto. Vomitai, quasi verde, vomitai senza nemmeno aver bevuto, pensi un po’. Presi l’intero flacone. E tutto fu come… già scritto. Presi il microfono e urlai, urlai tutto quello che avevo in corpo. 

-Tutto qui?

Beh era quello che mi chiedevano allo spettacolo, sa, la mercificazione dei malati. Io ero malato lo sa, ha la mia cartella medica, eppure dovevo continuare. Il pubblico era… era…

-Era?

Annoiato.

-Quindi?

Quindi cercai di calmarmi, presi altre pillole. Non potevo…sopportarlo. Era…

-Il suo flacone attuale?

Ah sì tenga.

-È vuoto.

Sì, ma perché ne rimanevano solo due. 

-Continui

Bene, non so cosa mi prese, ma andai in escandescenza e iniziai a urlare più forte. Spaccai qualche bottiglia, insomma… feci una tal scenata, non mi va di ricordarla.

-Lei ha incendiato il locale.

Sì, ma solo perché non mi ascoltavano.

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