28 Aprile 2021
CATEGORIA: ArticoloPer chi sono i confini? La tua vita ovunque
Da quanto tempo non vi chiedete cosa sia la globalizzazione? Io da almeno dieci anni.
Secondo Treccani il termine è adoperato, a partire dagli anni Novanta, per indicare un insieme assai ampio di fenomeni, connessi con la crescita dell’integrazione economica, sociale e culturale tra le diverse aree del mondo.
Per i millennial come me, la parola globalizzazione scatena una serie di immagini contrastanti e quasi mitiche. Il dibattito sul tema divampò per diversi anni dopo la caduta del muro di Berlino e la fine dell’Urss: le immagini dei cittadini che scavalcano il muro tra abbracci, lacrime e picconi, hanno entusiasmato una generazione di persone per le quali finalmente il mondo appariva privo di confini. Sembrava l’inizio di un nuovo mondo in cui poter viaggiare, conoscere e sperimentare. E in parte era davvero così.
Il politologo George Modelski ha definito la globalizzazione come processo attraverso il quale diverse società del mondo vengono incorporate in un sistema globale.
Accanto all’entusiasmo, presto ci fu anche chi si interrogò sulle conseguenze di una realtà così aperta. Qualcuno iniziò a chiedersi quanto sarebbe costato, e chi ci avrebbe rimesso. Il movimento no-global nacque da questa riflessione, e dall’osservazione dei fenomeni che si diffusero in breve tempo in tutto il mondo. Fenomeni che caratterizzano la nostra società ancora oggi, come il sistematico sfruttamento dei paesi più poveri a opera delle multinazionali. Il tema in quegli anni infiammava gli animi, portando a eventi e manifestazioni che si conclusero a volte in modo tragico, come durante il G8 di Genova nel 2001, quando gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine portarono alla morte di Carlo Giuliani.
Ma poi ci siamo adattati. La nostra società era destinata a cambiamenti sempre più grandi, in un lasso di tempo sempre più ristretto. Abbiamo iniziato a dare per scontato il fenomeno della globalizzazione. Abbiamo iniziato a pensare che non valesse più la pena discuterne, che fosse meglio imparare a gestirla. Quando è successo? Forse con la diffusione di internet, con i biglietti aerei low cost, con i grandi servizi di e-commerce. Oggi non è più notizia sapere che quella multinazionale da cui abbiamo comprato i jeans a dieci euro li ha prodotti in un paese in cui lo sfruttamento minorile non è poi un gran problema. Oggi siamo tutti un po’ più americani, un po’ più giapponesi, parliamo tutti un po’ di inglese. Viaggiamo in tutto il mondo. Stringiamo amicizie online con persone che vivono in altri continenti. Come se fosse una cosa normale. Come se fosse sempre stato così. Certo non siamo la prima generazione a visitare il mondo, ma siamo la prima per cui farlo è diventato ordinario.
Il sociologo Anthony Giddens sostiene che la globalizzazione consista nell’intensificazione delle relazioni sociali mondiali, che collegano tra loro località distanti, facendo sì che gli eventi locali vengano modellati dagli eventi che si verificano a migliaia di chilometri di distanza.
Per una persona della mia generazione il mondo oggi non ha più confini invalicabili, e siamo pronti a giovare di questa libertà fino in fondo. Partiamo per lavorare in altri paesi, a volte per un’estate, altre volte per sempre. Andiamo in vacanza dall’altra parte del globo e troviamo il ristorante italiano in cui finiamo solo per poter dire che noi sappiamo cucinare meglio. Conosciamo persone con esperienze di vita totalmente diverse dalle nostre, ma con cui riusciamo a legare grazie a una semplice canzone. In trent’anni, l’impatto della globalizzazione sulle persone è stato rivoluzionario e ha coinvolto tutti i livelli della vita, dal lavoro allo svago.
Il politologo Anthony Mcgrew intende la globalizzazione come impatto sempre più veloce e profondo delle relazioni interregionali e dei modelli di interazioni sociali.
Oggi non ci chiediamo più se vivere in un mondo così connesso sia un bene o un male, oggi cerchiamo di capire cosa voglia dire. Osserviamo gli effetti sulla nostra pelle. Quando accompagniamo un amico all’aeroporto, quando inviamo un curriculum all’estero, quando un virus dalla Cina si diffonde ovunque in pochi mesi. Prendiamo la nostra vita e la immaginiamo dove vogliamo, ma sempre più raramente immaginiamo di morire nello stesso posto in cui siamo nati.
Ogni tanto penso ai miei nonni. Erano vicini di casa. Si sono sposati e vivono insieme da più di sessant’anni. Ancora oggi trovano argomenti su cui litigare.
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Articolo molto interessante e coinvolgente! Complimenti