28 Aprile 2021
CATEGORIA: ArticoloTra vecchiaia e giovinezza
“Va’ piano, sono anziano.”, “Ho una certa età io, porta rispetto.”, “Che vecchietto che sei!”
Sono frasi che si sentono spesso, dette in tono giocoso e canzonatorio, il più delle volte da persone di nemmeno trent’anni, ma questo ci porta a una domanda: quando si inizia a essere davvero “vecchi”?
Difficile stabilirlo, potremmo considerare la crescita e la fecondazione stessa come l’inizio dell’invecchiamento di una persona, oppure possiamo affidarci ai dizionari, notando la sottile distinzione fra vecchio, ossia che è molto avanti negli anni, che è nell’età della vecchiaia, e anziano, ovvero di età avanzata, in senso assoluto o in relazione ad altri. Ma a cosa corrisponde davvero questa fantomatica “età avanzata”? Secondo la definizione corrente è anziana una persona di 65 anni; provate a dare dell’anziano a un 65enne, a vostro rischio e pericolo.
Negli ultimi settant’anni l’aspettativa di vita si è alzata parecchio, passando da 69 anni a 82, per cui una proposta del SIGG (Società Italiana di Geriatria e Gerontologia) prevede di spostare la soglia del concetto di anzianità a 75 anni, quando secondo la legge Fornero la pensione viene attribuita a 67 anni. Si è anziani da 65, 67 o 75 anni? Se si parla di pensioni tutti le vogliono quanto prima, ma esauriti i diritti nessuno è ben disposto a fronteggiare i doveri o, in questo caso, l’odiosa nomea.
È curioso osservare come finché siamo noi o persone a noi vicine a definirci vecchi, in maniera giocosa, la cosa non viene considerata particolarmente sgradevole, ma i guai iniziano quando sono altri a porci domande o fare battute sulla nostra età. “Non si chiede mai l’età a una signora.”, “Non darmi del Lei, non sono così vecchio.”
Se ci poniamo di fronte a dei bambini delle elementari potremo vivere la sgradevole esperienza di essere considerati anziani a vent’anni e senz’altro sarà un duro colpo per il nostro orgoglio, ma alla loro età noi facevamo la stessa cosa. Ventenni a cui scricchiolano pericolosamente le ginocchia distrutti dopo tre rampe di scale e sessantenni che corrono la maratona di New York, chi è più vecchio fra i due?
Al di là delle parole possiamo concordare che l’invecchiamento in sé non è il più gradevole dei processi, la vista cala, l’udito si affievolisce e le ossa si fanno fragili, sopraggiungono i problemi di memoria e l’autonomia diventa sempre minore, facendoci sentire il fiato freddo dell’imminente fine. Una prospettiva sgradevole per chiunque.
Se, come si sente dire talvolta, “L’età è solo un numero” e “le parole sono solo parole”, allora perché tanto astio? In passato, prima degli avventi della società contemporanea, la vecchiaia era considerata un traguardo, segno di conoscenza e saggezza, ora la “vecchia generazione” è considerata più una zavorra che una guida, una pensione in più da pagare con i contributi dei lavoratori. Sono cambiati i tempi, i valori e le menti; dove prima si guardava a tradizione e saggezza ora si cercano innovazione e freschezza. È dura stare al passo, sia per gli arzilli settantenni che per i doloranti trentenni.
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