29 Aprile 2021
CATEGORIA: NarrativaUna generazione di mezzo
Come tutti i figli degli anni Novanta, anche io sento scendere la lacrimuccia al suono del 56k che si connette a internet. Ogni tanto lo cerco su YouTube e poi faccio partire quelle compilation di decine di minuti che raccolgono tutti i suoni della mia infanzia, dalla finestra di errore di Windows XP alla schermata di avvio della prima PlayStation.
Sono in piedi davanti allo specchio.
“Tutti stanno meglio con la riga al centro.”
La voce di quella ragazza su TikTok mi riecheggia in testa. Afferro il pettine e mi metto all’opera. Quando ho finito alzo lo sguardo intimorita. Rimango immobile qualche istante a fissare il mio riflesso. Faccio una smorfia. Mi passo una mano fra i capelli. Pettinati di lato sono più belli per quel che mi riguarda, c’è poco da fare.
Tipico dei millennial, penso, eppure non sono una di loro.
La mia dipendenza da internet e social media? Insostenibile.
La mia ansia di parlare al telefono? Invalidante.
La mia conoscenza di slang e meme? Infinita.
Non sono una cazzo di millennial, mi dico, non ho mai neanche avuto un profilo Netlog né MySpace. Ma ho avuto anche un telefono a conchiglia. Sono vecchia abbastanza da provare l’emo-nostalgia e avere la sensazione che i giovani alternativi siano solo poser che fanno appropriazione culturale della nostra, vecchia musica. E non so farmi i selfie se non tenendo il cellulare dall’alto e a un’angolazione improponibile.
“Manco fosse il 2007.”
Commenterebbe mio fratello in proposito, lui ha quattro anni più di me. È del ‘92, un millennial in piena regola. Di quelli che si lamentano dell’età adulta e sono dipendenti da caffè e vino.
Qualche giorno fa, sono uscita con lui e un gruppo di suoi amici. Si sono messi a parlare di come la carriera che hanno scelto li fa sentire così realizzati. Ricordo di aver alzato gli occhi al cielo. Nessuno di loro sapeva niente di questioni ambientali. Ho consigliato io di passare a prodotti di cosmesi che fossero biologici e possibilmente prodotti da piccole aziende eco-solidali.
“Voi giovani co’ ‘ste stronzate da perbenisti. Ma basta!”
Mi ha risposto una delle presenti. Direi che sono più cose da social justice warrior che da perbenisti, ho pensato tra me e me. Per fortuna, l’argomento è cambiato poco dopo. Abbiamo chiacchierato dei nostri giochi preferiti per il GameBoy e discusso delle tattiche vincenti per Tekken 3 e il primo Crash Bandicoot, quello difficile. Quando un tale ha nominato Harry Potter tutti si sono accesi e la discussione si è fatta interessante.
Ricordo tutti i film, visti rigorosamente al cinema, e sono fedele alla mia casa. Hufflepuff and proud of it. Avevo anche una felpa con queste precise parole.
Quando l’ho detto a un tizio conosciuto online mi ha presa in giro. Ha tre anni meno di me e mi parla come se fossi sua nonna.
“Voi vecchi avete troppo una fissa per quel ragazzino scritto da una TERF.”
Mi ha scritto. Ho dovuto googlare cosa fosse una TERF, ma non l’ho capito del tutto. Così come inizio a non capire metà dei meme che mi invia. L’altro giorno ne ha mandato uno: la foto, sgranata e con un filtro che la rende inguardabile, di uno youtuber con semplicemente scritto “E”. Ho risposto con l’emoji che ride, pur non avendolo capito. Lui mi ha fatto sapere che quell’emoji è da boomer e nessuno la userebbe mai non ironicamente.
Per non parlare di quando ha insultato i miei skinny jeans a vita alta.
Avvio ancora una volta la raccolta di suoni della mia infanzia.
Non sono una millennial e non sono una zoomer, penso. So solo quello che non sono.
Scorro i social. Tutti i nativi digitali sanno bene quanto l’algoritmo sappia venire in nostro soccorso quando ne abbiamo bisogno. Giusto il giorno dopo che abbiamo detto di aver bisogno di un nuovo paio di scarpe o di voler fare una vacanza, i social arrivano in aiuto. Perché il capitalismo digitale ci è nemico ma gli vogliamo bene quando ci propone i contenuti perfetti per noi, penso abbozzando un sorriso.
E, infatti, scorro il feed e la risposta compare. Un articolo che parla di zillennial.
Nati tra il ‘94 e il ‘98, hanno affrontato la giovinezza e l’adolescenza tra i primi duemila e gli anni ‘10 del nuovo millennio. Gli zillennial sono il punto di congiunzione tra i millennial e la generazione Z. Sono abbastanza vecchi da ricordare quando il mondo non era ancora così interconnesso ma pur sempre nativi digitali; hanno ricordi sbiaditi dell’11 settembre, a differenza degli zoomer che erano troppo piccoli o non erano nati affatto e dei millennial che li ricordano perfettamente; si identificano con molti aspetti della generazione Z, soprattutto per le tematiche sociali e la tendenza a essere cinici verso il futuro, ma non comprendono del tutto le dinamiche tipiche degli zoomer.
Su internet scrivono di quanto il non riuscire a catalogarsi e connettersi con una generazione piuttosto che un’altra causi in loro crisi d’identità e a chiedersi come dovrebbero considerarsi.
Alzo gli occhi dallo schermo.
Ora è tutto chiaro. Sono una zillennial, e in quanto tale sono il meglio e il peggio di due generazioni.
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