30 Aprile 2021

CATEGORIA: Racconto

Gazze grottesche

“Tu prendilo e basta.”

Marco si allontana, e quando ritorna ha tra le mani un asciugamano azzurro. Apro la finestra piano piano e l’aria fredda mi investe. Una gazza ladra giace sul davanzale esterno, la prendo delicatamente e l’avvolgo nell’asciugamano. Marco richiude la finestra, mentre io mi siedo sul divano tenendo in grembo l’animale ferito. 

“Magari ha fame. Vai a prendere un sacchetto di frutta secca?”

“Va bene, va bene.”

Torna che il sacchetto è già  aperto, la bocca gli si muove mentre mastica. Marco si mette un po’ di semini sul palmo della mano e lo avvicina alla gazza. 

“Fanno schifo anche a lei,” dice Marco, “aspetta un attimo.”

Si avvicina ai cartoni della pizza, ne apre uno e prende una patatina fritta. Avvicina la patatina alla gazza. Lei la guarda, guarda lui e riguarda la patatina. Poi la afferra con il becco e inizia a mangiarla.

“Visto, che ti dicevo?”

Gli faccio la linguaccia. La gazza ha finito di mangiare e inizia a saltellare.

Alla fine sulla pizza non è rimasta nemmeno una patatina. Decidiamo di tenere la gazza in casa fino a domani, quando il tempo sarà bello.

È domenica mattina. Guardo la sveglia: è presto. Sento delle urla provenire dalla cucina. Anche Marco si sveglia.

“Ma che cos’è tutto questo chiasso?”

Ci alziamo, scendiamo le scale e ci fermiamo di fronte alla porta chiusa della cucina. Apriamo la porta. La gazza vola di qua e di là urlando.

“Voglio patatina! Voglio patatina! Voglio patatina!”

Restiamo fermi, paralizzati dalla scena. La gazza ci nota e si adagia sul tavolo.

“Patatina?”

Marco fa segno di no con la testa. La gazza lo fissa muovendo la testolina e sbatte gli occhietti lucidi. Poi riprende a volare in giro, e facendo cadere gli oggetti per terra continua a urlare.

“Voglio patatina! Voglio patatina! Voglio patatina!”

Marco mi guarda, è bianco come un cadavere.

“Giulia, ma senti anche tu quello che sento io? Lo senti? Ti prego dimmi che lo senti.”

Lo guardo e annuisco, immagino il mio viso sia ancora più pallido del suo. Lui sembra riprendersi un po’ e afferra la scopa appoggiata nell’angolo. Apre la finestra.

Inizia ad urlare cercando di spingere fuori la gazza. Non so come, ma ci riesce. L’animale vola via urlando ancora.

“Me la pagherete! Me la pagherete!”

Finalmente ritrovo la voce.

“Ma-cosa-cazzo-è-successo?”

“Non ne ho idea”

Annuisco e inizio a raccogliere gli oggetti da terra. 

Siamo pronti per uscire. Infilo la lista della spesa nella borsa e prendo le chiavi della macchina. Camminiamo sul vialetto. Marco ha occhiaie blu sotto gli occhi, tiene in mano delle borse per la spesa vuote. Prima silenzio, poi un battito d’ali. Alziamo lo sguardo. I rami degli alberi sul marciapiede hanno Gazze Ladre come foglie. Il loro manto è bianco, nero, blu. Una di loro spicca il volo e gracchia, poi atterra su un altro albero. Viene imitata da un’altra, un’altra e un’altra ancora. Ci copriamo le orecchie con le mani. Una gazza plana verso di noi, in picchiata, poi torna su. Le altre la seguono a ruota. Marco ha le sopracciglia aggrottate. Arretriamo di qualche passo. Torna il silenzio. Guardo Marco.

“E adesso che si fa?” gli chiedo.

“Corriamo.”

“Come sarebbe a dire corriamo?”

“Sono solo uccelli.”

Alziamo lo sguardo. Le gazze ci guardano con i loro piccoli occhi neri. Mi tiro su il cappuccio e Marco fa lo stesso. 

“Al mio tre,” mi dice

Annuisco.

“Uno, due… tre!”

Corriamo. Le gazze impazziscono, spiccano il volo e ci attaccano. Una di loro cerca di togliermi il cappuccio.

“Vendetta! Vendetta!” 

Urlo, raggiungo la macchina, apro la macchina e salgo, chiudo la portiera. Marco è sul sedile del passeggero. 

“E adesso? Hai qualche altra idea brillante? Non posso guidare con tutti questi volatili a impedirmi la visuale.”

Le gazze ladre sbattono sui vetri, urlano, sono tantissime.

“Vendetta! Vendetta! Patatina!” 

Marco schiocca le dita e tira fuori il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans. Digita un numero e se lo porta all’orecchio.

“Ma che cosa fai?”

Lui si porta un dito alle labbra.

“Pronto? Sì, buongiorno. Volevo ordinare due postazioni di patatine fritte. Sì, sì,  via San Carlo numero 15. Ok, grazie.”

Lo guardo con sguardo interrogativo.

“Ma casa nostra è al numero 12.”

“Lo so.”

Passano i minuti, le gazze sono appollaiate sugli alberi. Arriva un ragazzo in bicicletta, ha le nostre patatine. Ci sorpassa e va tre case più  avanti. Suona al citofono, ad aprire è la signora Rosa. Lui le porge due contenitori, ma lei scuote la testa. Le gazze hanno spiccato il volo.

“Parti, parti!” Mi dice Marco.

Schiaccio sull’acceleratore e ci allontanano sfrecciando. In lontananza sentiamo ancora le urla.

“Patatina! Patatina! Patatina!”

Tornati a casa , lo scenario è peggio di come ce lo aspettassimo: le gazze sono ovunque e attaccano chiunque. Alcuni dei nostri vicini si difendono con gli ombrelli, inutilmente. Stavolta siamo preparati: abbiamo con noi tantissime patatine. Io e Marco ci guardiamo e annuiamo. 

“Sei pronta?” Mi chiede.

“Certo. Facciamolo.”

Allora lui abbassa il finestrino e inizia a urlare.

“Ei, gazzettuccie  belle! Abbiamo PATATINE per voi!”

Nell’aria un collettivo punto interrogativo.

“Patatina?”

“Si PA-TA-TINA!” Continua Marco.

Le gazze si uniscono in un unico, gigantesco, stormo.

“Vai!” Mi urla.

Parto, vado più  veloce che posso, supero tutte le auto che mi ritrovo davanti. Le gazze ci seguono per chilometri. Arriviamo al fast food “l’isola”, chiamato così  perché  totalmente isolato. Non mi fermo neanche. Marco lancia dal finestrino le patatine. Faccio inversione per tornare a casa. 

“Allora? Ha funzionato?” chiedo.

Marco si gira a controllare.

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