27 Aprile 2021
CATEGORIA: NarrativaLa scimmia nello specchio
Gioco con i peli della barba all’angolo della mandibola. Li intreccio e li sciolgo. Ci passo sopra la mano e li liscio. È un nuovo tic, dell’ultimo mese di quarantena. Lisciati i peli, ricomincio.
È aprile. L’asfalto è nero dalla pioggia. Rabbrividisco per l’aria e nascondo le mani in tasca. Dopo Pasqua ho messo via coperte, cappellini, guanti, vestiti pesanti. Ho lasciato il cappotto in tintoria. Avrei dovuto aspettare a fare il cambio di stagione, penso. Sono sul marciapiede davanti al barbiere. Di fianco alla cagata di un piccione. Un furgoncino bianco è fermo davanti a me. Il retro è aperto. Una trinacria disegnata sullo sportello mi fissa. Tra le gambe, delle arance rosse. Le due serrande sono ancora abbassate ma c’è già qualcuno davanti a me. Un uomo dai capelli grigi, corti. Una mascherina azzurra.
Arriva qualcuno. È la parrucchiera. Capelli scuri e pelle olivastra, un giubbotto verde. Si ferma alla serranda di fronte a me. Mi sposto sull’orlo del marciapiede. Lei si abbassa e apre la serranda. I jeans si tendono sotto la pressione. Si limita a girare la chiave. Si rialza, apre ed entra.
Arriva il barbiere. È pelato e indossa un panciotto. Tiro un sospiro di sollievo quando entro.
Tra un attimo arriva il mio collega, dice. Mi fa accomodare a una postazione, quella più interna, adiacente al muro del negozio. Ce ne sono tre, identiche. Poltrona blu e di fronte specchio enorme e lavandino. Da seduto posso vedere un secondo specchio riflesso nel primo. I capelli mi ricadono sulla fronte e coprono in parte gli occhiali. Li tiro indietro. Tra i vari specchi, delle scaffalature in tinta con le poltrone. Sugli scaffali vedo gel, cere, pettini, pacchetti di fazzoletti. Il campanello d’apertura della porta suona. Un ragazzo entra nello specchio. Capelli scuri pettinati all’indietro. Anche lui ha un panciotto.
Mi mette in mano un quaderno, già aperto. Una tabella da tre colonne, nome, numero di telefono, ora dell’appuntamento. Sono il secondo a compilarla. Nel riprenderlo dice, Togliti gli occhiali, Anche la mascherina, No, quella no. Li appoggio alla mia sinistra. Mi mette una mantella nera con dei disegni colorati. C’è anche una scritta bianca. I caratteri sono delle macchie. Mi chiede, Come facciamo i capelli, Un’accorciata davanti e il resto a macchinetta, Tre centimetri va bene, D’accordo. Apre un cassetto e sceglie il pettine della lunghezza esatta.
Nel lavorare parla in arabo con il collega. Passa e ripassa con la macchinetta. Ne tira fuori un’altra. Quando arriva vicino alla mascherina rallenta, sposta il cordoncino, lo blocca con l’indice e ricomincia a rasare. Si ripete dall’altro lato della testa. Usa diversi tipi di rasoi. Per sfumare, tagliare e fare i contorni. Davanti usa due tipi di forbici, una per spuntare e l’altra per sfoltire. La mantella è piena di capelli.
Mi chiede di togliere la mascherina. L’appoggio sopra agli occhiali. Non ho problemi a immaginare un australopiteco impegnato a guardarmi. Un ominide con i capelli corti e una faccia pelosa. I peli cominciano ad altezza zigomo e mi ricoprono fino a metà collo. Non ci sono baffi. Li ho tagliati io durante tutta la quarantena. Sotto il naso non crescevano e lasciavano un buco. Gli dico di tagliar via tutto. Altro pelo sulla mantella.
Facciamo anche le sopracciglia, Niente rasoio però, Filo, Ottimo, vai con quello. Divelle ogni singolo pelo che giudica di troppo. Nel farlo schiaccia palpebre e occhi. Infine mi toglie la mantella per lavare i capelli. Si gira un attimo e io passo un dito veloce sull’angolo dell’occhio destro.
Esco dal negozio. L’aria è ancora fredda e la cagata del piccione è sempre in terra. Passo la mano sulla guancia sinistra, l’abbasso sul collo e la rialzo sulla guancia destra. Inspiro una boccata d’aria. È rigenerante.
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