29 Aprile 2021
CATEGORIA: NarrativaStorie di confine parte 3
Quando ho ricevuto quel messaggio ho pensato di morire, confessa. Ricordati che ho le tue foto, scriveva. Ricordati che posso smerdarti quando voglio. All’improvviso ero sporca come mai in vita mia. Sporca, scrivo sul foglio. Ripasso la parola con la penna e la sottolineo tre volte.
Ho spento il cellulare e l’ho messo nel cassetto, dice. Non volevo pensarci, ma il mattino seguente quando l’ho riacceso, mi aveva mandato tre foto. Nella prima ero in bagno, allo specchio, mi coprivo il seno con la mano destra. Nella seconda la stessa mano era dentro le mutandine. Nella terza ero nuda. Aveva scritto Che ne dici se le mando a tutti i miei contatti. Ho iniziato a tremare, tremare, tremare. Lo dice tre volte. Lo scrivo tre volte sul foglio.
Decido di rispondere con Si chiama revenge porn e ti posso denunciare, prosegue. Lui ribatte con Non ho detto che lo farò, potrei.
Non mi sembrava facesse molta differenza, riflette. Annuisco. Sta in silenzio qualche istante, conto i secondi, sono dodici. Poi aggiunge che stavano insieme da tre anni, che non poteva crederci, che era convinta non l’avrebbe mai fatto.
Chiedo cosa sia successo dopo e disegno una freccia a lato del foglio. Lei dice Per una settimana non si è fatto sentire, pensavo fosse tutto finito, ma un mattino, mentre ero a lavoro, il telefono ha iniziato a squillare senza sosta. Tutti avevano visto le mie foto. Tutti, tutti, tutti. Lo dice tre volte. Lo scrivo tre volte sul foglio.
Sono svenuta, ricorda. Sta in silenzio, di nuovo. Questa volta i secondi sono sedici. Poi aggiunge I miei genitori, gli amici, il mio datore di lavoro. Ho pensato che la mia vita fosse finita. Mi sono sentita ricattata. Stupida. Ingenua. Ma l’ho denunciato. Cammino per strada e mi sento gli occhi addosso. Sono passati tre mesi e diciotto giorni, ma non mi sembra sia cambiato nulla. Ho ancora paura. Che risucceda intendo, dice.
Le spiego che non ha fatto niente di male, che non ha ragione di sentirsi stupida o ingenua. Ricattata sì. Guarda fuori dalla finestra e dice Lo so.
Cerca di stare calmo, non potrò aiutarti una volta varcata quella porta, non raccontarle tutta la storia, dice l’avvocato al suo assistito prima che quest’ultimo entri in manette nel mio ufficio.
Non ho chiesto d’incontrarla, esclama il criminale, ma se lei e il giudice volete essere certi che io sia capace di uccidere mia moglie sì, lo sono, e il resto non conta più. Il resto. Lo scrivo e lo sottolineo. Quest’uomo mente, penso, e lo dico anche al diretto interessato. Ho già confessato di averla ammazzata, non so dove voglia arrivare, ma non ci credo più nemmeno io nella mia innocenza, così l’uomo. Cala il silenzio, e nel trattenere il pianto una lacrima comunque scende dalla sua guancia. Trabocca il vaso, penso.
L’uomo rivolge lo sguardo al pavimento, Volevo divorziare da tre anni, ma lei non me lo ha mai permesso, esclama. Di nuovo silenzio.
Inizia a piangere, senza emettere gemiti, osserva semplicemente il pavimento e lascia cadere lacrime sotterrate nei ricordi, penso.
Mi ricattava, aveva scoperto che in passato ero uno spacciatore di cocaina. Fino al giorno dell’omicidio ero incensurato, ma anche oppresso da quella donna. Inizialmente era tutto perfetto, pensavo di aver sposato la persona che ritenevo di amare, così l’uomo. Poi avevo iniziato a stare male, di continuo, lei mi era sempre accanto come fosse un’infermiera. I medici non riuscivano a diagnosticare il mio caso, le difese immunitarie non mancavano, ma l’analisi delle urine aveva rivelato un’impressionante quantità di arsenico. Per tre anni mi ha controllato corpo e mente, non sono pazzo e questo incontro non serve, ma mi creda se le dico che l’ho uccisa in preda a una rabbia, un rancore così profondi che, probabilmente, non proverò mai più nella mia cella, nel sapere che finalmente quell’incubo è finito.
Cala di nuovo il silenzio, osservo la scrivania, prendo un foglio, la penna e inizio a scrivere. Ho finito esclamo, ruoto il foglio di centottanta gradi e lo rivolgo verso l’uomo, egli si avvicina e legge distintamente infermità mentale.
AUTORI: