30 Aprile 2021

CATEGORIA: Racconto

La differenza tra un cuore e un orologio

“Trovato qualcosa?” chiese Dorian.
“Non ancora.”
Erano ore che Charles cercava nelle rovine di villa Liddell.
Dorian guardò l’amico con un sorriso triste. Si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla. “Si sta facendo buio” disse “possiamo continuare domani”.
Charles percorse con lo sguardo le rovine, il tramonto riflesso nei suoi occhi azzurri.
“Ci deve essere qualcosa” disse con labbra tremolanti. “Non ci sono tracce di sangue, quindi se ne sono andati. Devo scoprire dove”.
Si girò verso Dorian. “Lasciami cercare ancora cinque minuti. Ti prego.”
“D’accordo, ma non un minuto di più” rispose “questo posto non è sicuro.”
In lontananza, Dorian vedeva i fumi della città. Simboli del progresso tecnologico inglese, e al tempo stesso araldi dell’apocalisse. Volse lo sguardo verso Charles, intento a rovistare tra le macerie. Non erano altro che due piccoli umani in un mondo dominato dalle macchine. Se non fosse stato per il suo ritratto fatto da Basil, pace all’anima sua, avrebbe fatto la fine di tutti gli altri.
Da mesi non incontravano anima viva. Ormai, si era dato per vinto. Ma Charles no. Aveva insistito per raggiungere questa villa, nella speranza di poter incontrare la famiglia Liddell, e in particolare Alice. L’unica persona alla quale avesse mai rivelato la chiave per il Paese delle Meraviglie.
Charles non è altro che un uomo rimasto bambino, pensò Dorian. Rifiuta la realtà, si nasconde nelle sue storie, nei suoi studi, per fuggire da quella stessa società che tanto vuole che lo approvi. Non riesce ad accettare che siamo rimasti solo noi due. Molti lo definirebbero uno fragile, ma una persona debole si sarebbe già arresa da tempo.
“Ora dobbiamo proprio andare” disse Dorian “trovato qualcosa?”
Charles si limitò a scuotere il capo.
Dorian fece per muoversi ma il suo corpo si bloccò, contorcendosi su sé stesso con uno spasmo. La pelle iniziò a raggrinzire, delle cicatrici apparvero in vari punti del corpo, i capelli iniziarono a cadere a ciocche.
Inorridito, Charles corse dall’amico e lo aiutò a rimettersi in piedi.
“Hanno trovato il mio quadro” sussurrò con un filo di voce. “Sanno dove siamo”.
Charles si caricò l’amico in spalla e iniziò a correre. Aveva ragione. Non erano stupidi, non avrebbero distrutto il quadro senza avere anche Dorian tra le mani.
Sentì un rumore di giunture e ingranaggi alla sua destra. Volse lo sguardo e vide un enorme robot umanoide color ruggine correre verso di loro. Dal suo corpo uscivano sbuffi di vapore. Il robot li puntò e Charles capì che scappare non era più un’opzione.
In un mondo abbattato,
qualcun altro non è adatto,
dal fato è lui chiamato,
ecco il Cappellaio Matto!
Poco distante, ai piedi di un albero, si aprì un buco nel terreno, dal quale saltò fuori un ometto basso con un enorme tuba sulla testa, un vestito a quadri verde e bianco e un papillon rosso a pois decisamente troppo grande.
“Buonasera, Lewis” disse ridacchiando.
“Servirebbe una mano qui!” urlò Charles mentre il robot si avvicinava. Il cappellaio spiccò un lungo balzo, atterrando in testa al robot.
“Che ora è?” chiese, con un’espressione pensierosa. Il robot provò a liberarsene ma il cappellaio scivolò sulla sua spalla.
“È l’ora del té!” urlò ridendo. Tirò fuori una tazzina dalla tasca, e ne rovesciò il contenuto sul petto del robot. Il metallo iniziò a corrodersi esponendo alcuni ingranaggi. Prontamente, il cappellaio ne staccò uno, e gli occhi del robot si spensero.
“Grazie” disse Charles. Aveva il fiatone. Appoggiò Dorian a un albero.
“Tutto bene?” chiese all’amico avvizzito. “Per nulla” rispose lui “senza il mio quadro non sono niente. Solo un misero umano senza ragione di vivere. Non guardarmi! Per favore, non guardarmi… Sono l’ombra dell’uomo che dovrei essere. Preferisco morire che vivere in questo modo” Charles lo guardò con sguardo triste. “Dorian… Troveremo un modo” disse. “No” rispose lui “non capisci. Basil non c’è più. E con lui, non ci sono più speranze per me, la mia bellezza se n’è andata per sempre!”.
“Che differenza c’è tra un cuore e un orologio?” chiese il cappellaio.
“Ti sembra il momento di uno dei tuoi indovinelli senza senso?” disse Charles.
Il cappellaio sogghignò mostrandogli un orologio da taschino arrugginito.
“Ma quello” disse Charles “Quello è l’orologio che il coniglio bianco ha donato ad Alice! Dove lo hai trovato?”
“Era incastrato nella gamba del robottone” rispose il cappellaio.
“Non può essere” mormorò Charles cadendo in ginocchio “Magari lo ha perso, ed è finito casualmente addosso al robot.”
Il cappellaio scosse la testa. “Ormai è andata, Lewis. Ti direi di guardare il lato positivo, ma onestamente non penso ce ne sia uno” scoppiò a ridere.
Charles era in ginocchio. Tremava. Alice non c’è più, pensò.
“La mia famiglia non c’è più. I miei amici non ci sono più. Ora anche Alice. Ha davvero senso andare avanti, lottare per la sopravvivenza, quando non c’è più nessuno per cui lottare?”
Delle luci squarciarono le ombre della sera, illuminandoli da più direzioni.
“Merda” urlò Charles, “ci hanno trovato!” Diversi robot si stavano avvicinando alla loro posizione, circondandoli.
“Charles” mormorò Dorian, “è ora. Liberalo”. Per un momento sulla faccia di Charles apparve un’espressione terrorizzata, poi si ricompose e annuì.
S’era a cocce e i ligli tarri
girtrellavan nel pischetto,
tutti losci i cencinarri
suffuggiavan longe stetto.
Il cappellaio sbiancò. “Cosa stai facendo?” urlò. “Non puoi! Io sarò anche matto, ma questo è troppo!”
Charles lo ignorò, andando avanti con la sua filastrocca.
Tutti attenti al Ciciarampa:
ha gli artigli ed ha le zanne,
dall’ira sua nessuno scampa,
i suoi follii, ei son condanne.
Un urlo stridulo si diffuse per la radura. Dorian chiuse gli occhi e sorrise.
Egli prese in man la spada,
da gran tempo lo cercava,
e sull’albero di nada
in pensiero riposava.
I robot li avevano ormai raggiunti. Uno di loro si avvicinò Dorian e lo schiacciò.
Mentre stava sì in pensiero
ecco il Ciciarampa appare
per il bosco artugio e fiero
tutte alunche fiamme pare.
Uno squarcio si aprì al centro del terreno. Un enorme creatura, simile a un drago, dal collo lungo e degli incisivi da roditore uscì.
In un lampo la creatura
inghiottì il porcapitato
iniziò così la sciagura
del Ciciarampa liberato.
Il cappellaio scosse la testa. “Addio, Lewis Carroll. Forse un giorno ci rivedremo. O forse no”. Con una fragorosa risata aprì un tunnel sotto un albero vicino e ci saltò dentro.
“Attento al Ciciarampa!
Stolle, fuggi, che ti piglia,
Stolle, fuggi, dalla vampa,
corri scuggi tante miglia!”
L’enorme creatura si avventò su uno dei robot, facendolo a pezzi. Poi rivolse la sua attenzione verso gli altri, e iniziò ad abbatterli soffiando vampe di fuoco.
S’era a cocce e i ligli tarri
girtrellavan nel pischetto,
tutti losci i cencinarri
suffuggiavan longe stetto.
Charles fece un lungo respiro. Intorno a lui, il bosco era in fiamme. Raccolse da terra l’orologio che un tempo fu di Alice, e lo guardò con malinconia. “Qual è la differenza tra un cuore e un orologio?” mormorò. “Uno dei due può essere riparato.”
Sorrise, stringendo l’orologio al petto. Pochi secondi dopo, il Ciciarampa gli fu addosso.

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