Perchè m’hanno detto che era finita. E io gli ho creduto. E da lì in poi, ogni
volta che chiudevo gli occhi pensavo solo a quel momento. Il dente della corona che manca la presa sulla catena e il cambio che si accartoccia. L’ho perso lì a Canzo il Lombardia. Al traguardo i giornalisti avevano già telegrafato il mio nome alle redazioni. E ti immagineresti almeno di finirla sulle tue gambe una gara del genere, no? O diresti, il destino ti avrà ripagato qualche anno dopo, così va lo sport. Beh, dopo il botto i medici che mi hanno rimesso in piedi non la pensavano così. Hanno giocato a fare il padreterno. E io ho obbedito. L’ho parcheggiata in garage e non l’ho guardata per dieci anni.
Ma quando son venuto qua me lo sono detto: Felice, questa è la volta buona. È dal ‘72 che ogni mattina prendo via Verza e mi pianto in via Cranno, convinto di non superare quella curva. A furia di tornare a casa a testa bassa, credimi, alla fine inizi a pensare che deve andare così. E tu pensa giù in paese, qua mi hanno accolto quarant’anni fa, e non ho mai fatto nulla per sdebitarmi. La grande promessa del ciclismo, loro magari si aspettavano pure che io facessi qualcosa, non lo so.
Poi un mese fa si svegliano che vogliono riasfaltare sopra Sormano. Per attirare più ciclisti, hanno detto. Avrebbero portato via la salita, il mio muro. E io ho capito che non avevo più tempo. Ma niente. Poi stamattina… stamattina sono uscito e ho visto i camion che portavano su la sabbia per il cantiere; mi sembrava di vedere la mia ammiraglia, e mi ci sono buttato dietro. Mi sentivo un ragazzino. Riuscivo a
rimanergli in scia. Ero così attaccato ai paraurti che avevo il fumo in faccia, vicino
alla curva mi sono pure affiancato, per guardare oltre. Sentivo gli applausi di
quarant’anni fa, erano ovunque. E poi, nella mia testa, il rumore del cambio che si
accartoccia. E mi sono fermato. Loro sono andati su e io sono rimasto bloccato lì,
piegato in due sul manubrio come l’ultimo dei perdenti. E gli applausi e le urla che ancora rimbombavano. E io ti giuro che non volevo neanche riaprire gli occhi, l’avrei cancellata dalla testa quella dannata salita. Ma il rumore non si fermava, anzi aumentava. Sentivo la voce della Fulvia, che non la saluto mai quando torno indietro e quella dei compagni giù al bar. Ero lì che mi riprendevo e mi sembravano sempre più reali. Allora ho aperto gli occhi, e cristo, erano reali. Stavano salendo a piedi, con le biciclette in mano, per me. Urlavano il mio nome, mi incitavano nonostante tutto. E allora…
E allora ho capito il perché, Felice, ma sei comunque passato attraverso un
cantiere. Ora che facciamo, ufficializziamo l’impresa con una bella multa?
Fai pure Gianni, e stasera passa al bar, offro io.
Eugenio Manuelli; Valentina Tanfani