La galleria brulicava di misteriosi, eccentrici dipinti. L’artista era sconosciuto, si firmava con uno pseudonimo, J. Mare, e marchiava i suoi lavori con un esiguo schizzo stilizzato a lato di ogni tela. Ritraeva un uomo senza volto, con una folta barba arricciata e un cappello da marinaio. I più curiosi e appassionati d’arte sostenevano che si potessero trattare proprio di alcuni dettagli distintivi dell’artista stesso e, l’ormai famoso, cappello da marinaio, raffigurasse il suo spropositato legame con gli abissi. La mostra fu realizzata in onore dell’anniversario della scomparsa del pittore. Considerato da alcuni morto, mentre da altri in viaggio alla ricerca di nuovi spunti. Clarissa si aggirava proprio tra quei dipinti, osservando le caratteristiche che più la stuzzicavano. I quadri ritraevano prettamente contesti marittimi, da navi pirata a spiagge sperdute. La ragazza era affascinata dalla tecnica utilizzata da J. Mare e dalle emozioni che riusciva a suscitare. Si scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio mentre piantò i tacchi davanti a un dipinto in particolare. Le onde del mare sfumavano dal blu intenso a un celeste tendente al bianco. Un veliero di quercia era ritratto al centro della tela. Abbozzi colorati tratteggiavano le figure di alcuni uomini a prua e le smisurate vele scarlatte solcavano la brezza. Le nuvole uggiose sottomettevano l’atmosfera. In lontananza, quasi inesistente, sbucava un’isoletta spoglia. La giovane avvicinò di più il viso e lo sguardo si intersecò con i frangenti. Clarissa era talmente ammaliata dal dipinto che giurò di aver visto il mare muoversi. Scosse il capo credendo di star impazzendo. Pensò fosse un effetto ottico o il frutto del bicchiere di vino bevuto mezz’ora prima. Continuò a camminare lungo la galleria, con la testa avvolta nella nebbia, quando percepì un brusio provenire alle sue spalle. Sentì i capelli muoversi sulla schiena nuda e brividi di freddo occultare la pelle quasi spettrale. Si voltò di scatto ma notò che l’unica finestra presente nella sala era serrata. Un cipiglio dubbioso colorò il viso della ragazza. Si tratta sicuramente del vino, pensò tra sé e sé, quando imboccò un nuovo corridoio con una dozzina di lavori dell’artista. Gli occhi di lei viaggiavano da un quadro all’altro, senza soffermarsi eccessivamente sui dettagli. Quella parte della mostra raggruppava una serie di dipinti di isole sperdute con uno scrigno dorato ricorrente su ogni superficie sabbiosa. L’attenzione di Clarissa, però, era bloccata sul quadro del veliero. Aspettò che il flusso di persone la oltrepassò prima di tornare indietro e posizionarsi, di nuovo, davanti a quel dipinto. Il mare era ancora in movimento e le vele si spostavano a ritmo del vento. Le persone abbozzate correvano da una parte all’altra della nave e il cielo iniziò a colorarsi di blu notte. La ragazza strizzò gli occhi, sperando fosse un’illusione, ma quando li riaprì lo scenario era lo stesso. Sbuffi leggeri attraversarono l’esile figura e schizzi d’acqua iniziarono a bagnarle il volto. Una marea attraversò il quadro fino a infradiciare i piedi, poi le gambe e infine tutto il corpo. Si trovò a galla come in mare aperto. Le profonde acque la travolsero totalmente. Sentì gli occhi pizzicare e li chiuse mentre tentava di raggiungere la superficie. Quando percepì l’aria solleticarle il volto, schiuse le palpebre e la bocca si aprì leggermente. Lo sguardo della ragazza guizzava da un estremo all’altro. Si trovava effettivamente nel mezzo dell’oceano, trascinata dalle imponenti onde. Accostava il massiccio veliero da cui provenivano turbolenti strilli da parte dei passeggeri.
“Aiuto!” Clarissa tentò di attirare l’attenzione di qualcuno sulla nave, fallendo miseramente. Urlò più forte ma nessuno sembrava accorgersi di lei. Quando stava per arrendersi un uomo si affacciò dal cornicione del veliero. Si sporse di poco e, più tardi, corse verso l’interno sparendo dalla visuale della ragazza.
“No! Aspetta!” Strillò di nuovo lei. Clarissa continuava a guardare verso l’alto, sperando che l’uomo tornasse e provasse a salvarla. Solo successivamente vide una fune penzolarle di fianco. La acchiappò e tentò di arrampicarsi sull’imponente nave, posizionando i piedi nelle fessure sporgenti. Le ore di arrampicata sono servite, rifletté mentre continuava a scalare la struttura. Qualche minuto dopo si trovò aggrovigliata all’estremità della nave. Davanti a lei un gruppo di uomini la osservava. Alcuni erano a piedi scalzi, le unghie logore e il viso ammantato dalla cenere. La maggior parte portava i capelli lunghi, insudiciati, lungo le spalle. I vestiti erano strappati e tatuaggi malfatti si intravedevano in ogni parte del corpo.
Un uomo con la pelle olivastra si fece largo nella folla. Aveva stivali alti fino al ginocchio, un pantalone nero rattoppato e una camicia bianca semiaperta. Portava un classico cappello nero da pirata e anelli dorati avvolgevano le dita. Penzolante sul fianco, indossava una lunga spada d’altri tempi.
“Chi sei tu?” Chiese l’uomo a un centimetro dal viso della ragazza. L’alito puzzava di sigaro e whisky, alcuni denti erano cariati, mentre altri rafforzati da placche luminose. Il volto mascherato da cicatrici avariate, i capelli acconciati in treccine e decorati con degli anelli arrugginiti. Il cappello che indossava aveva segni di bruciature e sul petto Clarissa riuscì a intravedere un inquietante marchio di un teschio tratteggiato. La giovane aprì la bocca e la chiuse poco dopo. Deglutì rumorosamente mentre continuava a sorreggersi a lato del veliero. Con un cipiglio ripugnante, l’uomo cominciò a scrutare le forme di Clarissa, valorizzate dagli abiti zuppi. Un ghigno impudico alterò l’espressione, che divenne cupa poco dopo, quando arrestò lo sguardo sul collo della ragazza. O meglio, sul gioiello oscillante che indossava. Si trattava di un medaglione argentato con un’incisione astratta sul dorso.
“Tiratela su!” Ordinò lo sconosciuto verso la frotta dietro di lui. Un gruppo di uomini avanzarono verso di lei, la presero per le braccia e gambe e la scaraventarono sulla superficie umida del veliero.
“Finalmente sei arrivata, non sai per quanto tempo ti abbiamo cercata.” L’inquietante individuo si era piegato all’altezza della giovane. Il volto era nuovamente colorato da un ghigno sinistro. Si inumidì le labbra screpolate mentre continuava a scrutare la collana.
“Portatela in gattabuia!” Urlò di nuovo lui. Clarissa si sentiva inerme di fronte alla massa sconosciuta. Cercò di dimenarsi dalle prese rigide sui polsi, fallendo nel tentativo di scappare. Fu portata in una cella, infamata da polvere e ossa deteriorate. Un senso di nausea la percosse.
“Clarissa, Clarissa… Sei arrivata proprio nel momento giusto sai?” Esclamò quello che la ragazza aveva capito fosse il capo.
“Come fai a sapere il mio nome?” Lo interrogò lei, incredula.
“Che carina, non sai nulla allora. Ti ho vista nascere, tesoro.” L’ultima parola fu marchiata da un tono ironico, beffardo. “Tu sei la nostra merce di scambio, finalmente riavremo ciò che è nostro, mia cara.”
L’uomo girò i tacchi e imboccò una scala di legno mentre continuava a sogghignare. Clarissa era pietrificata. I muscoli rigidi e gli occhi tremanti. Il respiro affannoso e il cuore palpitante. Iniziò a pizzicarsi le braccia, credendo ancora di stare sognando. Chiuse gli occhi e li riaprì poco dopo, notando di trovarsi ancora in quel losco sotterraneo. Passarono le ore e la ragazza alternava lo stato d’animo da arrabbiata a triste. Trascorse quei momenti a urlare a squarciagola di lasciarla andare e di spiegarle cosa stava succedendo e dove si trovava. Nessuno però la ascoltava. Sentiva di tanto in tanto risate provenire dalla ciurma, canti bizzarri e rumori ambigui. Il fragore delle onde marittime accompagnarono quelle ore interminabili e il senso stomachevole faceva capolino ogni qualvolta si voltava a osservare le ossa in putrefazione. Successivamente sentì il cigolio delle scale di legno davanti alla cella e un uomo alto entrò nel sotterraneo. Aveva capelli bruni legati dietro la nuca, la pelle abbronzata e abiti simili a quelli del capo. Camminò verso di lei e le buttò sul pavimento un pezzo di pane sgranocchiato.
“Mangia,” esordì lui. Mentre Clarissa acchiappò la pagnotta iniziando a scavare tra le molliche, il ragazzo prese uno sgabello di legno e si sedette davanti le sbarre.
“Tu non mi riconosci vero?” Le chiese lui. Clarissa scosse il capo mentre masticava un eccessivo boccone di molliche. Il ragazzo la fissò; aveva gli occhi celesti, pungenti, intensi. Le labbra carnose erano increspate e le guance occultate da un colore rosato. Rigirava tra le mani un cappello marroncino e con il piede sembrava tenesse il ritmo, come un metronomo.
“Sono Brian, da piccoli giocavamo sempre insieme.” Clarissa sgranò gli occhi all’affermazione. Da piccoli? Ma cosa si è bevuto?
“Impossibile, mi avrai scambiata per un’altra,” esordì la ragazza continuando a mangiare.
“Non ti ho scambiata con nessuno, Clarissa,” ridacchiò lui, “i nostri genitori erano molto amici, prima che tua madre morisse e tuo padre… beh… perdesse la retta via.”
“Non ti seguo, i miei genitori sono entrambi vivi in Georgia.” Il ragazzo ridacchiò nuovamente all’affermazione ingenua della giovane. Si alzò dallo sgabello e iniziò a fare avanti indietro per la stanza.
“Tu non sei chi credi di essere, Clarissa.” La fissò nuovamente con lo stesso sguardo tagliente. La ragazza strinse le dita intorno alle barre gelide e luride.
“Questo è solo un sogno.”
“E qui ti sbagli di nuovo. Sei nel Mondo di Mezzo, nelle acque più profonde dell’oceano. Tuo padre e tua madre erano i pirati più temuti di tutte le ciurme. Un grave incidente portò tua madre alla morte quando noi eravamo molto piccoli. Da allora tuo padre perse totalmente la ragione…”
“Cazzate,” lo interruppe la ragazza, “ripeto, i miei genitori sono entrambi vivi in Georgia, non conosco nessun Mondo di Mezzo e soprattutto non conosco te.” Clarissa incominciò a girare in tondo per tutta la prigione. Calciò qualche groviglio di polvere mentre continuava a tenere la testa bassa e la mente velata. Non è possibile, è solo un sogno.
“Tuo padre, il famoso James Mare, che nel mondo normale si spaccia per un pittore…”
“Aspetta, cosa?” Clarissa si bloccò sul posto all’esclamazione di Brian. I muscoli si irrigidirono e assunse un’espressione incredula, sospettosa.
“James Mare è tuo padre, Clarissa. Dopo la morte di tua madre, non so come, ha trovato il modo di andare via da questo mondo, decidendo di farti crescere in un altro, da persone totalmente estranee. Tre anni fa è tornato qui perché aveva scoperto che il Capitano Harvey aveva ucciso tua madre.” La ragazza aveva la bocca aperta e tremolante. Le guance presero fuoco e gli occhi si inumidirono.
“Mare rubò la nave del Capitano Harvey, così come tutto l’oro che aveva racimolato negli anni. Siamo in viaggio da due mesi, in queste acque, per raggiungere l’isola dove pensiamo abbia nascosto sia il bottino e la nave, sia se stesso.”
“E io cosa c’entro in tutto questo?” Singhiozzò Clarissa.
“Harvey crede che minacciandolo di ucciderti, possa riscattare facilmente i suoi averi.” Sospirò Brian. Lacrime rigarono le guance della ragazza.
“Ascoltami, io non permetterò facciano del male a te e tuo padre. Stai tranquilla.” Appena Brian terminò la frase un fischio lacerante smorzò la quiete. Un gruppo ristretto della ciurma scese con passi pesanti nelle segrete. Uno di loro agguantò il ragazzo per le spalle e lo scostò, mentre gli altri aprirono la gattabuia trascinando Clarissa fuori. La ragazza tentò di divincolarsi dalle strette prese degli uomini, ma più cercava di scappare più aumentavano la pressione sulle braccia. Una folata di aria fredda le colpì il viso. Il cielo aveva assunto una sfumatura tetra, cupa. Il mare scalciava contro il veliero, provocando immensi schizzi. La nave vacillava prepotentemente.
“Clarissa! Vedi laggiù, ecco lì c’è il tuo adorato papà. Fai come ti dico e nessuno si farà del male.” Esordì beffardo Harvey. L’oceano continuava a ostacolare il viaggio del veliero. La corrente scaraventò pezzi della nave da un estremo all’altro e punzecchiò una delle vele ardenti. Una scossa aggressiva fece perdere a tutti l’equilibrio. La ragazza cercò di scappare nel momento di caos, raggiungendo la prua. Il Capitano Harvey la vide e le corse incontro. Clarissa si trovava sul ciglio della nave. Schegge di legno le stuzzicavano la schiena mentre con una mano brandì una spada scivolata vicino i piedi. La puntò contro Harvey che ridacchiò sarcastico. “Temeraria, proprio come la mamma.”
Quelle parole le stimolarono una sensazione di disgusto. Avanzò contro il capitano, con l’arma diretta verso il suo petto.
“Non osare parlare di lei.”
“Tesoro, abbassa la spada. Non faremo del male a nessuno, rivoglio solo ciò che è mio.” Un’altra scossa destabilizzò la ciurma, ma questa volta non proveniva dal mare. Il veliero era approdato sulla spiaggia di un’isola. La sabbia svolazzava nell’aria e gocce di pioggia iniziarono a ricamare le figure. Un membro della marmaglia agguantò Clarissa, facendole cadere l’arma. La imbavagliò con una bandana abietta e, tenendola per la vita, si calarono con una fune sulla spiaggia. Poco dopo tutta la gentaglia governava minacciosa l’isola. Il capitano riconobbe la sua nave qualche passo più avanti ma, quando tentò di raggiungerla, fu colto di sorpresa da qualcuno. Un uomo alto, con una folta barba bianca, lo fronteggiava. La spada lucida dritta dinanzi a lui. Aveva degli stivali, il panciotto coperto da una camicia malridotta e un gilet quadrettato. I pantaloni vermiglio rattoppati come quelli di Harvey e un cappello da marinaio a coprirgli la nuca brizzolata.
“Mare!” Urlò Harvey brandendo la spada. Le armi vibravano a ogni tocco. Gli occhi furtivi, pronti a qualsiasi mossa. Quando James riuscì a indebolire il capitano, il membro della ciurma che teneva prigioniera Clarissa, richiamò la sua attenzione.
“Non lo farei se fossi in te.” James Mare girò il capo e incontrò lo sguardo della figlia, terrorizzato. Quell’attimo fuggente bastò a Harvey per impugnare nuovamente la spada e conficcarla nel petto dell’anonimo pittore. Sangue ombroso infamò il vestiario dell’uomo. Un urlo soffocato uscì dalla bocca della ragazza. James cadde a terra, in una pozza veemente. Clarissa si trovò sulle ginocchia a gattonare incontro al padre.
“La chiave…” James cercò di indicare il collo della ragazza, ma chiuse gli occhi prima di poter dire altro. Il dolore macchiò il volto di Clarissa, che stringeva tra le mani la camicia del padre. Sentì in lontananza le risate fragorose della ciurma. Si alzò di scatto ma, prima che potesse arrivare al capitano, vide Brian dietro di lui. La spada del ragazzo perforò il petto di Harvey facendolo cadere con la faccia nella sabbia. Altro sangue macchiò la superficie friabile. Brian gli diede un calcio e lo infilzò nuovamente con la spada.
Alzò il capo e guardò Clarissa, poi la ciurma e infine i due corpi inermi coperti dal liquido funesto.
Cinque anni dopo…
Clarissa fronteggiava il vento che le scostava i capelli. Guardava l’orizzonte mentre giocherellava con il medaglione che aveva al collo. Vestiva con una camicia nivea infilata in un paio di pantaloni neri, un cappello scuro sotto il braccio e degli stivali color caffè.
“Chissà se contiene qualcosa all’interno,” le disse Brian indicando il ciondolo. La ragazza lo osservò, continuando a rigirare il vecchio cimelio tra le dita.
“Non credo proprio,” ridacchiò lei.
“Proviamo.” Brian acchiappò il medaglione e cercò di schiuderlo. Con un colpo prepotente il ciondolo si aprì in due mostrando una pietra celeste. Clarissa la prese.
“Carina,” disse Brian.
“Magari era di madre…”
“Plausibile.” Le sorrise Brian. Il ragazzo la lasciò contemplare il gioiello. Clarissa continuava a rigirarlo tra le mani, ripensando alle ultime parole del padre.
Allineo la pietra con il sole che stava scomparendo all’orizzonte. Una luce le perforò la vista e per un attimo vide tutto nero. Strizzò gli occhi e quando li riaprì si trovava davanti al quadro di J. Mare, con gli stessi vestiti di cinque anni prima e la galleria gremita di turisti. Con un cipiglio in volto, si avvicinò al quadro, intravedendo tra le figure abbozzate se stessa.
Greta Campagna Popolo
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