Domenico fissa la porta davanti a sé. Si sforza di non far scivolare la chiave dalla mano sudata, mentre la inserisce nella serratura. Ma al primo sblocco indietreggia, staccando la mano dalla chiave e allontanandosi dalla porta. Domenico si dirige a passo svelto verso l’uscita, e imbocca il sentiero vicino casa; che si affaccia sul Segrino. La stradina termina alle spalle della baita dove abita Giulio; ed entra dal retro. Una musica classica lo accoglie facendogli capire della presenza del maestro al piano superiore.
Lo studio, illuminato dalla luce colorata che filtra dalle vetrate, ha il pavimento cosparso di vecchie tempere e di tele appoggiate sulle pareti. Giulio, al centro della stanza, sta passando la vernice finale su una tela. Domenico entra e cammina avanti e indietro alle spalle di Giulio.
– Ti fermo prima che inizi a farmi la solita predica. Allora, ero lì, davanti, sereno, testa alta, spalle dritte e ho dato la prima mandata… e tu che dicevi che saresti morto prima!
– E l’hai aperta?
– Avresti preferito che fossi arrivato in ritardo? Sei tu che hai detto che essere puntuali è una forma di rispetto.
– E il quadro, l’hai fatto?
– Non ho avuto tempo. Ieri sono passato da Giuseppe a fare la copia della chiave.
– Mancano poche lezioni ormai, e non potremo recuperarle.
Due settimane dopo Domenico ha nuovamente la mano sulla maniglia e l’altra sulla chiave; che gira nella serratura, facendola sbloccare per la seconda volta.
Le parole del suo vecchio maestro gli rimbombano nella testa. “Quella stanza è piena di ricordi che ti fanno stare male.” La mano allenta la presa e lui imbocca il solito sentiero verso casa di Giulio. La porta principale della baita è spalancata, Domenico non sente nessuna melodia provenire dall’interno della casa. Lui sale al piano di sopra, per recarsi nella camera dove disegnano di solito. Vede che la stanza è stata ripulita dai colori delle tempere, e le persiane vietano alla luce del sole di entrare. Al centro dello studio, posta su un cavalletto di legno, “La Vittoria” di Magritte richiama la sua attenzione. Domenico si avvicina alla tela e con il dito sfiora la nuvola raffigurata nel dipinto. Sul retro una dedica: “Per Domenico. Amico e allievo.” Lui, dopo aver letto quella frase, esce in silenzio con la tela sottobraccio.
Domenico rientra a casa, appoggia il quadro vicino alla porta della stanza e gira la chiave nella serratura; primo sblocco. Sospira, secondo sblocco. Si ferma, osserva il quadro, chiude gli occhi e ruota il polso. La porta si apre; il vecchio profumo di Patrizia, le foto sul comodino e i vestiti ammucchiati gli creano un nodo in gola. Domenico appende il quadro sull’unica parete vuota della stanza, e comincia a riempire gli scatoloni, progettando il suo nuovo studio di pittura.
Martina Marini, Riccardo Sanità