“Ciao a tutti amanti del mistero, anche oggi con una buona dose di razionalità riusciremo a sfatare qualche mito. Ci troviamo in provincia di Como, a Canzo, nel Sentiero Spirito del Bosco, dove si vocifera siano avvenuti eventi paranormali…” Alessandro sentì il bip della telecamera che si spense poco dopo. Andò a controllare per cercare di riaccenderla. Sembrava a posto ma non voleva
saperne di ripartire. Era molto strano, pensò…
Finché non vide la spia rossa lampeggiare. La batteria era scarica. Purtroppo con sé non ne aveva una di scorta, quindi decise di utilizzare solo il registratore. Di solito nella prima parte del percorso tentava di comunicare con i presunti spiriti.
“Spiriti, se ci siete, palesatevi.” Aspettò qualche secondo, pensando che come al solito non avrebbe ricevuto risposta, ma a un tratto sentì una voce:
“Puoi ripetere?” e dopo il silenzio “Non ho capito bene.”
Si guardò intorno con occhi sgranati. Poi un altro suono lo riportò alla realtà. Tirò fuori il telefono dalla tasca e disse a Siri di stare zitta.
Si misi a ridere dell’accaduto, e decise di inoltrarsi ancora di più nel sentiero.
Stava camminando ormai da venti minuti, e come pensava non successe nulla di sospetto. Si fermò per una pausa e si sedette a terra appoggiandosi al tronco di un albero, e rimase in ascolto. Fu allora che si accorse che non c’era nessun rumore, nessun verso di animale, nessun ronzio di insetto, nemmeno le foglie spostate dal vento. Nulla. E in effetti di animali o insetti nemmeno ne
aveva visti.
“Ehi spiriti, è colpa vostra se non si sentono rumori? Non è che gli animali li avete uccisi tutti, vero?” Sentì uno scricchiolio e alzò lo sguardo, giusto in tempo per vedere un ramo che gli stava per cadere addosso. Si lanciò di lato per schivarlo. Lo mancò di qualche centimetro, graffiandogli solamente il braccio. Mentre si ripuliva dal sangue sentì uno strano fruscio. Si guardò intorno ma
non vide nulla. Il fruscio si fece più insistente, e iniziò ad assomigliare a una voce, distinta. Anche se ormai era chiaro ciò che stesse dicendo, ci mise comunque un po’ per realizzarlo. Si stava rivolgendo a lui, ne era certo, stava chiamando il suo nome. Si rialzò col fiato corto e ricominciò a guardarsi in giro.
“C’è qualcuno?” La domanda suonava stupida, era ovvio che non ci fosse nessuno con lui, ma stava iniziando a dubitarne. Iniziò a correre per andarsene da quel posto, senza fare caso a quando fece cadere il registratore. Le voci lo seguivano a ogni suo passo. Erano sempre più insistenti, quasi assordanti.
“Hai sbagliato a venire qui.”
“Ora non te ne andrai mai più.”
Non sapeva da quanto stava correndo, quel posto sembrava non avere più un’uscita. Il piede gli si impigliò in qualcosa facendolo cadere a terra. Cercò di divincolarsi, inutilmente. Non capiva come un rampicante potesse essere così resistente. Ma quando si girò, intorno alla sua caviglia vide lo
scheletro di una mano. Non accennava ad allentare la presa e il teschio lo fissava con un sorriso soddisfatto. Gridò e altre mani uscirono dal terreno e lo tennero stretto a loro, impedendogli di rialzarsi. Le dita scheletriche iniziarono a conficcarsi nella carne, lacerandola.
“Mi dispiace, mi dispiace. Adesso so…” Gridò fra le lacrime. Una mano gli tappò la bocca e un viso scheletrico gli si parò davanti.
“Ormai è troppo tardi.”
Ilaria Bonelli; Greta Guentes