L’ultimo atto


“Via, maledetta macchia! Via, dico… Ma chi avrebbe mai pensato, che quel vecchio avesse dentro tanto sangue?” Ripete Elisa, sfregandosi freneticamente le mani. Marco la guarda sorridendo, mentre lancia distratto dei sassolini contro un albero. “Cavolo, sei migliorata tantissimo. All’accademia saranno davvero fortunati ad averti come alunna. Sei la mia Lady Macbeth preferita.”

Elisa gli dà una pacca leggera sulla spalla. “Ma smettila, che sei bravissimo anche te. Vedrai quanto ci divertiremo insieme, quando saremo finalmente lontani da qua,” Marco abbassa lo sguardo verso i suoi scarponcini, sporchi di terra. “A te non mancherà Canzo? E i boschi, e l’aria profumata, e la fonte d’acqua fresca? Mio padre dice che Milano è tutta grigia.” Elisa si mette a ridere mostrando tenere fossette. “Tuo padre si sbaglia, Milano è piena di gente come noi, artisti. Ci sono un sacco di giovani, di attori, gente di tutti i tipi. Non vedo l’ora di andarmene da questo posto. Lui ti dice così perché non vuole che tu te ne vada” “Hai ragione.” I due, quando si accorgono che il sole sta per calare, iniziano ad avviarsi per il sentiero, verso il paese. Le foglie secche scricchiolano sotto i loro piedi. Marco si ferma davanti a uno degli alberi intagliati. Lo gnomo nel legno sembra guardarli. “Però anche qua ci sono degli artisti. Questo l’ha fatto mio
padre, ti ricordi? Mio nonno gli aveva insegnato a intagliare quando era ancora un bambino. Adesso tocca a me portare avanti la tradizione.” Marco si avvicina alla figura, guardando con occhi tristi il suo volto perfettamente levigato, Elisa lo osserva col naso arricciato. “Queste maledette statue inquietanti. Me le sogno la notte. Andiamo, che dobbiamo ancora preparare la valigia per domani. E fatti valere davanti a tuo padre, il tuo posto non è qua.”
La stazione, con il suo piccolo edificio bianco e rosa, è deserta, sotto il sole del primo pomeriggio. Solo Elisa, coi capelli biondi raccolti sulla testa sudata, è seduta sulla banchina. La grossa valigia al suo fianco. La mamma e le sorelle non sono venute a salutarla. “Ma che cazzo fai senza valigia,
Marco? Il treno per Milano passa fra quindici minuti.” Urla, appena lo vede arrivare lento, tra passi incerti e con la testa bassa. Sembra non sentirla. Lei gli corre incontro e appena lo raggiunge, lo scuote bruscamente. “Marco non scherzare, dobbiamo andare. È l’ultimo treno, io non ci passo un
altro giorno qua, hai capito?” Lui alza lentamente lo sguardo, alla ricerca dei suoi occhi. Non risponde. “Marco, cos’hai? Perché non mi rispondi? Mi stai facendo paura. Milano ci aspetta, dobbiamo portare in scena Macbeth, ti ricordi? È da quando siamo piccoli che non facciamo che parlarne.” Marco allontana lo sguardo, “non posso, mio padre…” Il volto di Elisa si fa paonazzo, i
muscoli dalla rabbia iniziano e tremarle. “Ma tu stai scherzando? Tuo padre? Sempre la solita scusa, Marco. Solo perché non hai il coraggio di ammettere la verità. Non hai mai avuto intenzione di partire con me, vero? Tu marcirai in questa gabbia, non riuscirai mai a vivere veramente finché
non ti liberi di tuo padre.” La voce dell’altoparlante interrompe le sue urla. Lo guarda un’ultima volta, aspettando che lui la smentisca, poi sale sul treno. “Ripensa a quello che c’è capitato; a miglior tempo ne riparleremo e discuteremo a cuore aperto, dopo che avremo avuto tempo e modo
di soppesarlo.” Bisbiglia Marco, guardando il treno allontanarsi.
“Via, maledetta macchia! Via, dico… Ma chi avrebbe mai pensato, che quel vecchio avesse dentro tanto sangue?… Non va bene. Elisa era più brava. Infatti ora è a Milano”
L’accetta nelle mani di Marco frantuma il ceppo sotto di lui “Via, maledetta macchia! Via, dico… Ma chi avrebbe mai pensato, che quel vecchio avesse dentro
tanto sangue?… Elisa sarà a Milano a fare Lady Macbeth nei migliori teatri, se lo merita.”
Il padre di Marco si avvicina sorridente, un carico di legna tra le braccia.

“E io qui a tagliar legna.”
Il padre appoggia la legna di fianco a lui e gli scompiglia scherzosamente i capelli. “Smettila di borbottare tra te. Concentrati. Fantasticando non si diventa bravi intagliatori.”
Marco lo guarda con gli occhi socchiusi, i pugni stretti e rigidi intorno al manico. “Come lavori bene da quando Elisa se ne è andata, quella non faceva altro che riempirti la testa di stupidaggini. Ma tu non ti sei mica fatto fregare, hai capito dov’è il tuo posto.” I suoi occhi si trasformano in due fessure, le mani ancora più serrate.
Un solo istante. L’accetta cade a terra. E il corpo del padre con lei.
“Qui era disteso Duncan, la pelle argentea vestita del suo sangue d’oro, e i tagli inferti parevano brecce nella natura, aperte allo sfacelo.”
Ripeteva Marco, ad alta voce nel silenzio della casa vuota, con la valigia pronta ai suoi piedi.

Veronica Pajola; Giorgia Taeggi


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