Le luci erano spente, sono scivolata fuori dalle lenzuola e ho infilato un paio di calzini. Mi sono diretta alla porta in punta di piedi e ho girato piano la maniglia, era liscia e fresca, mi piaceva sentirla sul palmo della mano. I fulmini riflettevano sui vetri delle finestre illuminando i corridoi. Camminavo attaccata al muro che era ruvido sulle braccia e sulle gambe, e quando sentivo il botto dei tuoni correvo. Avevo paura di essere sentita.
Morgana, quel bisbiglio mi aveva fatta sobbalzare, da questa parte.
Non riuscivo a capire da dove provenisse la voce, ho fatto qualche passo indietro e mi sono sentita tirare per la camicia da notte.
Nadir? Ho detto a bassa voce.
Seguimi, mi ha afferrata per il polso.
E le telecamere?
Non le hanno ancora aggiustate.
Trascinavamo i calzini sui corridoi, Nadir mi teneva per il polso e il cuore mi batteva forte. Siamo entrati nei bagni per gli Ospiti, lui mi ha tirata verso di sé e mi ha accarezzato una guancia, sentivo il calore del suo respiro sulla faccia, sapeva da fumo e collutorio alla menta. Mi ha spinta contro la parete, finalmente sta per succedere, ho pensato. Le sue labbra erano umide, abbiamo iniziato a giocare uno con la lingua dell’altro, il gusto di menta affumicata. Era la prima volta, ma riuscivo a muovermi in modo naturale. Mi ha alzato le braccia e ha sfilato la camicia da notte, ho voluto mettere una mano dentro ai boxer e il suo respiro si è fatto pesante. Muovevo la mano su e giù, a volte la stringevo e quella cosa diventava sempre più calda e dura. Si è tolto la maglietta e ha cominciato ad accarezzarmi le tette, gli ho preso la mano e l’ho messa dentro ai miei slip. Lui l’ha tolta e mi ha messo due dita in bocca, io ne ho prese tre, erano salate. Ho roteato la lingua, poi ho usato le labbra. Mi sembrava semplice e normale, sentivo il mento bagnato dalla saliva tiepida. Ha tolto le dita dalla bocca ed è tornato a baciarmi, mi ha trattenuta sul muro e mi ha pizzicato il lobo dell’orecchio con i denti, poi ha inumidito il collo con la lingua ed è arrivato alla spalla. L’ho allontanato e mi sono tolta le mutande, gli ho preso una mano e l’ho messa lì sotto.
Sei sicura? Ha detto Nadir.
Non ho risposto, ho continuato a premermi addosso la sua mano e lui ha cominciato a fare dei movimenti circolari ed è arrivato più sotto, ho sentito un pizzico, infilava e faceva uscire un dito. Il bruciore è aumentato, stava usando due o più dita, le infilava fino in fondo e spingeva forte. Percepivo piccole fitte sulla pancia, in basso. Ma io lo volevo, lo sentivo necessario.
Ti faccio male? Ha sussurrato.
Shhh, ho detto.
Mi sono seduta nella tavoletta del water e ho cercato di distendermi il più possibile, sono rimasta con le gambe mezze aperte e ho preso tra le mani le guance calde di Nadir spingendogli in giù la faccia, sentivo che fosse la cosa giusta da fare. Ha iniziato a leccarmi, il piercing sulla lingua mi faceva il solletico e creava delle scosse calde dentro di me. Si è fermato.
Ti piace? Ha chiesto.
Shhh, ho detto e gli ho trattenuto giù la testa.
Ho sentito di volere di più e l’ho allontanato spingendolo con un piede, mi sono girata con la schiena verso di lui e le mani appoggiate nella parete fredda davanti a me.
Ti voglio, ho bisbigliato.
Non dobbiamo per forza, ha detto.
Adesso Nadir.
Ho sentito che si è sfilato i boxer, mi ha stretto i fianchi e qualcosa di duro e caldo ha cominciato a spingere lì sotto. È entrato piano dentro di me, si è bloccato e ha ricominciato a spingere, più volte. Ho sentito un bruciore e la pelle che tirava, poi uno strappo, Nadir ha cominciato a fare dei movimenti più rapidi. Un calore sembrava spegnersi e poi accendersi di nuovo. Mi sentivo bagnata, ho pensato di essermi fatta la pipì addosso e che mi sarebbe colata per le gambe, oppure era sangue e anche quello sarebbe scivolato fino al pavimento. Ho smesso di pensarci, avevo il desiderio che Nadir spingesse più forte, fino ad arrivare in fondo nel punto in cui sentivo una strana pulsazione.
La porta si è aperta di colpo, una luce ha illuminato il bagno. Ho sentito quella cosa calda e dura lasciare velocemente il mio corpo e mi sentivo vuota, bollente, lì sotto pulsavo. Avevo un liquido viscido sull’interno delle cosce e un leggero dolore. Ho afferrato la camicia da notte e l’ho stretta al petto per coprirmi, ho dato una rapida occhiata al pavimento, era asciutto. Due Padroni dal camice bianco ci stavano puntando la pila addosso e hanno ordinato di rivestirci, uno ha strattonato Nadir per il braccio e l’altro mi ha trascinata per il polso fino alla mia stanza. Il Padrone ha sbattuto la porta e il suono dei passi diventava sempre più distante, mi sono distesa a letto pizzicandomi il polso indebolito.
È suonata la sirena della colazione, mi sono infilata la camicetta e i pantaloni della divisa e sono andata in mensa. Mi sono seduta sul tavolo vicino alla finestra e ho preso una cucchiaiata dello yogurt ai lamponi che avevo sul vassoio, per poi ributtarlo dentro al vasetto. Si è avvicinata un’ombra.
Ciao Luka, ho detto.
Non sono Luka.
Scusa, ciao Simon.
Piccola maleducata, ha esclamato.
Volevo dire Zoe, ho detto guardando lo yogurt.
Finalmente ci sei arrivata bambina, posso sedermi?
Hai visto Nadir per caso?
No, mi dispiace tesoro. Ha detto mentre versava mezza bustina di stevia nella tazza di caffè. Lo sai che lo yogurt alla frutta è pieno di zuccheri, vero cara?
Zoe, posso chiederti una cosa?
Chiedi pure bambina.
Perché il cuore batte più forte quando si pensa a un maschio?
Una Padrona si è avvicinata con il carrello dei medicinali.
Queste sono per lei Morgana, ha detto.
Scusi, queste non sono le mie vitamine.
Potevamo chiamarle solo in quel modo davanti ai Padroni, ma Zoe mi aveva spiegato che erano psicofarmaci e servivano per dimenticare.
Ordini dall’alto, mi hanno riferito che ieri sera non è stata bene.
Ho messo in bocca le pillole e le ho ingoiate con un bicchiere del liquido violaceo che mi aveva versato la Padrona, il gusto dolce è scivolato nella gola.
E lei oggi è Luka, Zoe o Simon?
Buongiorno Padrona, non mi riconosce?
Mi dica il suo nome per favore.
Zoe, ha risposto. Può lasciarmi le vitamine di Luka e Simon, gliele darò personalmente.
Finite in fretta la colazione e andate a darvi una sistemata, tra poco apriamo. Ha aggiunto la Padrona e ha ricominciato a spingere il carrello dei medicinali. Ho guardato Zoe, speravo che rispondesse alla domanda che le avevo fatto.
Buon viaggio dolcezza, invece mi ha detto ridendo.
Cosa? Ho chiesto, ma se ne stava già andando con la tazza in mano. Mi sono alzata, ho buttato via il vasetto di yogurt ancora pieno e ho fatto il giro della mensa. Non ho visto Nadir e sono andata a cercarlo nel corridoio del suo settore. Mi guardavo attorno per essere sicura che non ci fossero Padroni e ho camminato veloce verso la sua stanza. Ho sentito una mano sulla spalla e ho fatto un salto per lo spavento.
Ero stata chiara, vada a prepararsi Morgana, lei non può stare qui.
Mi sono girata scivolando sulle punte dei piedi e mi sono inchinata per chiedere scusa.
La prego non lo dica al Direttore, ho urlato.
Abbassi la voce. Se continua così dovrà essere punita.
Non succederà di nuovo, glielo prometto Padrona.
E ora torni nella sua stanza.
Prima mi dica come sta Nadir, la supplico.
Nadir? Non esiste nessuno con quel nome qui dentro.
Ma?
La smetta con le domande e sparisca da questo settore, ha detto la Padrona indicando la porta in fondo al corridoio e sono tornata nella mia stanza. Mi sono seduta davanti allo specchio per legarmi i capelli, ho notato dei leggeri lividi sul collo e ho cominciato ad accarezzarli, mi è venuta la pelle d’oca. Ripensavo ai baci di Nadir, alla saliva tiepida sul collo. Ho scorso l’indice sulla camicia ruvida e mi sono fermata sopra ai capezzoli, erano più duri, avevo gli occhi chiusi e immaginavo l’unione dei nostri corpi nudi, la sua pelle sudata e morbida. Un calore mi ha pervaso la pancia e lo stomaco, ho trascinato la mano fino al bordo delle mutande, il battito del cuore era più veloce. La sensazione della sua cosa calda e dura che spingeva per entrarmi dentro, ho sentito gli slip inumidirsi, ho infilato la mano e ho cominciato a toccarmi. Era la mia prima volta, ma speravo che fosse l’ennesima. Nadir, ho sussurrato, facevo fatica a respirare. Mi sono pizzicata con l’unghia, ma ho continuato a cercare di infilare il dito dentro di me. Che cosa sto facendo, ho pensato.
Dio mio, pezzi di merda, datevi una sistemata. Dalla porta blindata in fondo al corridoio è entrato il Direttore, ho riaperto gli occhi e ho cercato di sistemarmi. Frocio sistema quelle mensole, questo posto sembra una discarica e te, schizzato del cazzo, abbottonati quella camicia. Si è affrettato per tornare alla porta blindata e tenerla aperta. Venghino signori, venghino. Non vi ho mentito, vedrete i mostri con i vostri occhi. Con la mano faceva segno di andare avanti al gruppo di Ospiti. Mi sono affacciata dalla porta, percepivo una leggera nausea e facevo fatica a mettere a fuoco le loro facce. Ho indietreggiato e mi sono distesa a letto, sentivo le gambe molli, ho provato a fare dei lunghi respiri.
Abbiamo ripulito il mondo da questi scarti della società e ci impegniamo ogni giorno perché non sia più infetto, ha continuato il Direttore.
Gli occhi mi bruciavano e sentivo le palpebre pesanti, vedevo la lampadina appesa al soffitto che roteava e le crepe nei muri che si allungavano. Mi è venuto in mente il viaggio di cui parlava Zoe e ho provato a concentrarmi sul respiro, facevo entrare e uscire l’aria dalla bocca.
E da questa parte signori abbiamo l’essere più magro del mondo, potete contargli le ossa, la voce del Direttore diventava sempre più lontana e ovattata. A sinistra il mostro che pensa di essere tre diverse creature, diglielo a questa brava gente. Sei Luka? O magari sei Zoe.
O sei quel simpaticone di Simon, ho continuato sotto voce. Conoscevo a memoria quelle parole, penso di averle sentite la prima volta quando ero nella pancia di mia madre. Non l’avevo mai conosciuta, sei figlia del diavolo, mi dicevano i Padroni. Avevo trovato dei libri con delle foto di esseri deformati che crescevano dentro al corpo delle femmine, Simon mi aveva raccontato che pure io abitavo lì dentro. Non mi aveva mai detto, però, da dove provenissero gli Ospiti, erano chiamati anche Persone, magari mia madre era diventata una di loro e un giorno sarebbe tornata per vedermi.
E da questa parte invece. La voce del Direttore era diventata un lontano ronzio, ho lasciato cadere le palpebre e mi sono lasciata cullare da un senso di leggerezza.
Luna Rosso
lunarosso.studia@mohole.it
Una risposta a “Un codice che nessuno ha mai scritto”
Bellissimo! La descrizione dei personaggi e dell’ambiente fa vivere al lettore una sorte di folle realtà, si diventa spettatore o addirittura un ospite