3759 Chicago Avenue

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Apro gli occhi, li sfrego per scacciare il sonno e mi alzo. Lame di luce arancione entrano dai buchi delle tapparelle. Quella luce una volta era l’alba, ora non più. Mi guardo allo specchio, non vale la pena darmi una sistemata. Una manata di acqua gelida sulla faccia è l’unica cosa che mi concedo. Apro il frigorifero, vuoto. Non importa. Indosso la divisa macchiata di ketchup, le mani agiscono in autonomia e afferrano le chiavi della macchina. Idiota, penso. Non ho più una macchina. Esco dalla porta e scendo le scale del condominio. Ogni passo è pesato, come se fosse l’ultimo. Il portoncino è scardinato. Sono sulla strada, l’odore di bruciato è intenso, ma le narici ci sono abituate. Cammino in uno scenario uscito da un film. Mi fanno compagnia carcasse di automobili, palazzi in fiamme e voci distorte da megafoni in lontananza. Svolto nella 38esima strada, mancano un centinaio di metri. Arrivo all’incrocio con Chicago Avenue. Manciate di fiori freschi, ogni giorno diversi, tappezzano l’asfalto di fronte al negozio. Parole rimbombano nella testa.

Per favore, amico…

Mi mordo le labbra ormai consumate e apro la serranda. Il locale è sporco e fatiscente, ma ai pochi clienti che ci sono rimasti non interessa, non interessa più neanche al mio capo. Entra poco dopo di me. Lo saluto con un cenno della testa, lui fa lo stesso.  La positività tipica del suo carattere è scomparsa da mesi. Continua a ripetere che la colpa non è mia, ma non leggo convinzione nei suoi occhi. 

   Non riesco a respirare…

Do un pugno al bancone. I ricordi si propagano come un incendio, come se fosse ieri. Il volto di George è ovunque, sui muri della città, stampata sui giornali e nella mia mente. Pensavo di aver fatto la cosa giusta. Non potevo immaginare… 

   Non riesco a respirare… il ginocchio sul collo… per favore…

Operatore: Quindi, questo ragazzo ha usato banconote false, ha le tue sigarette ed è sotto l’influenza di qualcosa?

Chiamante: Qualcosa del genere, sì. Non si sta comportando bene.

Operatore: Che aspetto ha, di che razza è?

Chiamante: Uhm, è un ragazzo alto. È alto e calvo, circa 6… 6 1/2, e non si comporta bene e sta per andare via, ha acceso l’auto.

Operatore: Okay, femmina o maschio?

Chiamante: Um…

Operatore: È una ragazza o un ragazzo?

Chiamante: (Parlando con qualcun altro) – sta chiedendo, un secondo. Ci siete?

Operatore: È stata una ragazza o un ragazzo a farlo?

Chiamante: È un uomo.

Operatore: Va bene. È bianco, nero, nativo, ispanico, asiatico?

Chiamante: Qualcosa del genere.

Operatore: Quale? Bianco, nero, nativo, ispanico, asiatico?

Chiamante: No, è un ragazzo di colore.

Operatore: Va bene (sospiro).

Chiamante: Come va la tua giornata?

Operatore: Non troppo male.

Chiamante: Hai avuto una lunga giornata, eh?

Operatore: Come ti chiami?

Chiamante: Il mio nome è (eliminato)

Operatore: Va bene, mi lasci un numero di telefono?

Chiamante: (eliminato)

Operatore: Va bene, stanno arrivando i soccorsi. Se quel veicolo o quella persona vanno via prima che arriviamo, richiamaci, altrimenti invieremo altre squadre lì vicino ok?

Chiamante: Nessun problema.

Operatore: Grazie.

Trascrizione della telefonata tra l’impiegato del Cup Foods e un operatore del 911, la sera del 25 maggio 2020, prima dell’omicidio di George Floyd.

Di Marco Amari

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