Avevo un microscopio da bambina.
Posizionavo con cura i vetrini sotto le lenti e studiavo i campioni con attenzione. Sulla vecchia agenda degli appuntamenti di mia madre estetista – il mio software – annotavo data, ciò che osservavo, le prime considerazioni e infine le mie conclusioni.
Ero una scienziata.
È buffo che ora sia diventata uno dei campioni che analizzavo. Più pulita – forse – e più semplice da capire.
20 febbraio 2020
Fase 1: osservazione.
La signora con il carrellino della spesa, a cui avevo offerto il mio posto in metro, chiude il volantino con le offerte Esselunga. Mi scannerizza; dai capelli -speriamo siano in ordine- fino alle mie all star bucate – devo decidermi a buttarle. Abbassa gli occhiali dalla montatura bianca – che sono un pugno in un occhio chiariamolo – e ripete il processo. Sento i pensieri che vanno formulandosi nella sua testolina: occhi a mandorla, lineamenti orientali, Cina, Wuhan.
Non lo fa apposta, ma non può farne a meno, non con tutti i telegiornali che segue e che la bombardano a ogni ora sulla situazione del contagio. Mi piacerebbe alzarmi e chiederle se può condividere anche con me queste informazioni. Dove si trovi Wuhan per esempio e soprattutto se tutti i cinesi nel mondo vengono da Wuhan.
Fase 2: scambio di opinioni
Il signore in giacca e cravatta seduto accanto a me si agita nel suo completo di Gucci. Completo che è un falso, per forza o non si spiega perché un uomo in completo firmato dovrebbe muoversi con lo spostapoveri.
Sono seduto vicino a una di loro, leggo sullo schermo del suo cellulare.
Una di loro.
Ho ricevuto epiteti ben peggiori, soprattutto da adolescente, quando nessuno conosceva il mio nome e per tutti ero Snorlax. “Una di loro” è un complimento, fa di me un’untrice temuta, molto meglio che essere un Pokémon ciccione.
Leggo anche la risposta: Sarebbe meglio se ti alzi. – se ti alzassi, cazzo, sarebbe meglio se ti alzassi.
Ma del congiuntivo, cosa posso saperne io? Occhi a mandorla, lineamenti orientali, Cina. Dicono ci siano davvero molti bei posti che meritano una visita, ma purtroppo i miei occhi hanno visto soltanto i palazzi di Milano e i miei polmoni hanno respirato soltanto lo smog di questa piccola metropoli – triste sorte mi è toccata rispetto a chi può inalare ogni giorno l’aria di Pechino.
Il signore comunque si alza sul serio e io posso lasciare la libertà ai miei H&M di invadere il sedile vuoto.
Fase 3: annotazioni.
Due ragazzini con gli zaini della scuola appoggiati sulle ginocchia, lanciano un paio di sguardi nella mia direzione – spero non stiano flirtando con me, sono decisamente troppo vecchia per loro. Mi mancano i ravioli di gamberi dice uno a me il riso avvolto nella foglia di loto, risponde l’altro. Mi dispiace davvero per loro, ma come hanno appena detto – giustamente-, c’è troppo rischio di contagio se si mangia cibo cinese. Bisogna correre ai ripari. Non so come reagirei io se per colpa di una pandemia mi dovessero privare della pizza di Attilio – quella alta, con la mozzarella che cola -, mi esprimerei con più parolacce, molte di più.
Avevo un microscopio da bambina.
Mi piaceva immaginare che quello che analizzavo nei vetrini fossero resti fossili di un dinosauro di un altro pianeta portati sulla terra da una delegazione intergalattica di alieni.
Ero una scienziata, ma mi piaceva di più inventare storie.

20 giugno 2020
Fase 4: conclusioni.
Sono seduta nell’unico posto senza l’adesivo con il divieto, non ho nessuno accanto a me e i pochi passeggeri in piedi non si aggrappano ai sostegni. Una signora con il carrellino della spesa litiga con la mascherina che le continua a scivolare dal naso – le servirebbe una taglia XL. Un signore in completo si sfrega le mani con il gel, tocca il computer, si frega di nuovo le mani – molto diligente e attento alle norme. Due ragazzini siedono in silenzio, si scambiano messaggi da un lato all’altro del vagone.
Occhi occidentali, lineamenti europei, Milano.
Siamo tutti cinesi di Wuhan ora.
Di Alessia Scala Bertolin