I 60 sono di nuovo i 60

Per pranzo, spaghetti con trito di pomodorino e prezzemolo fresco. Come contorno il telegiornale delle 13.00. Chiude questa edizione un servizio sul nuovo fidanzato di Madonna; un adone con circa un terzo dei suoi anni e un nome tanto esotico quanto impronunciabile, come quei cocktail che si sorseggiano a bordo di uno yacht. Lei ha compiuto i 62 poco più di un mese fa.

Un’annata di grandi leggende, quella del ’58: Andy McDowell, Sharon Stone, Michelle Pfeiffer, la sottoscritta. Mi specchio nel dorso della forchetta, per sottopormi a una TAC spietata.

Oltre ai polmoni, smettere di fumare sui 35 ha fatto bene anche al “codice a barre” sul labbro superiore, e ora non mi ritrovo con la bocca rinsecchita di una mummia. Sì, qualche zampetta di gallina fa capolino all’angolo degli occhi, ma non si trasforma in un’intricata ragnatela lungo guance flaccide da basset hound. Abbasso lo sguardo sulla mano che regge la posata: a fior di pelle non sono ancora emersi arcipelaghi di macchie caffellatte. Se penso ai sessant’anni di mia madre, nel 1995, non posso proprio lamentarmi.

Sullo schermo, ora, Mara Venier intervista Milly Carlucci; la prima, Regina Elisabetta della tv nostrana, afferma il suo dominio con una profonda scollatura, un centimetro per ogni anno di servizio. Inizio così a fare zapping e durante la mia discesa nell’Inferno del palinsesto domenicale, mi imbatto in tre fiere della pubblicità: la signora in minigonna che si scompiscia dal ridere davanti all’incontinenza, la neo sessantenne che organizza un rave party di compleanno a base di integratore alimentare e il carlino parlante con l’anziana padrona dalle articolazioni degne di Forrest Gump, grazie a una nota pomata. E via così, fino a giungere al cospetto della padrona indiscussa delle conduttrici over 60, la splendente Barbara D’Urso. Strizzata in un vestitino in vinile rosa confetto, brilla sotto la luce rovente dei fendinebbia che le sparano addosso e che, sul viso cereo, fanno tabula rasa di ogni segno del tempo. Meglio cambiare in fretta canale, le cellule cerebrali non si rigenerano.

Incappo dunque nel talk show medico di una tv locale qualsiasi. Accoccolati in poltroncine a debita distanza di droplet, gli ospiti discutono animatamente del vaccino per il Covid 19. “Quando?” è la domanda che preme maggiormente, seguita a ruota da “A chi?”.

Com’è giusto che sia, puntualizza un esperto, i primi saranno medici e operatori sanitari. E subito dopo, prosegue, i fragili e gli anziani.

“Ma chi si intende per anziani?”, incalza il conduttore con interesse; nonostante il palese trapianto di capelli, non è più un ragazzino.

Dal punto di vista medico gli over 60, risponde il dottore, senza giri di parole.

“Lo Stato garantirà la gratuità del vaccino sopra i 65 anni”, gli fa invece eco il politichino di turno.
Spengo il televisore e inizio a sparecchiare, domandandomi “Ma chi sono gli anziani, oggi?”.
“I 60 sono i nuovi 40”, titolavano i giornali a gennaio. La pubblicità ci mostra donne di mezza età troppo impegnate a ridere, correre e viaggiare per sentire il peso dei loro anni. Le regine della nostra televisione, poi, hanno trent’anni… per gamba!

“La vita di una donna inizia a sessant’anni” ci blandivano le riviste femminili a febbraio; dimenticate le ansie del lavoro e dei figli, si è più consapevoli di sé stesse e della propria femminilità. Non è solo la donna a cercare il toy boy, sono i ragazzi stessi a desiderare una “panterona” esperta e affamata.

Da marzo, il Covid ci ha ribadito come i 60 siano sempre stati i 60.

Sono andata a dormire come una donna matura con ancora il mondo intero ad aspettarmi là fuori, per risvegliarmi anziana attempata, soggetto a rischio da rinchiudere in casa.

Con i miei sessantadue anni, scientificamente parlando, sono vecchia tanto quanto i miei genitori ultra ottantacinquenni. Peccato che loro, alla mia età, fossero già in pensione da un pezzo.

Che alle mie spalle ci siano più anni di quanti me ne spettino ancora, è un dato di fatto. Se la pandemia ha fermato il mondo, il tempo è comunque scivolato tra le nostre vie deserte, placido come un fiume. Panta rei: io, la vita, il Covid.

Quest’anno mi sono persa la fioritura delle magnolie ai giardini di Palestro; non accadrà lo stesso con il foliage autunnale. Infilo le scarpe da ginnastica e indosso la mascherina mentre chiudo in automatico la porta. Sei chilometri, andata e ritorno. Mi concederò una tappa intermedia per un bel cappuccino, con panna.

Di Ginevra Borgnis

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