#arteinmohole – N°2

Quando il docente parla ma la sera prima il gin e tonica era decisamente troppo; quando sei in bagno a smaltire la peperonata di livello mangia ca si siccu, a’ nonna!; quando la tua dolce metà ti obbliga a vedere il suo film preferito, ma Sharknado 6 proprio non riesci a digerirlo. Che cosa fai, in queste tanto disperate quanto comunissime situazioni?

Inutile mentire a noi stessi. Sfiliamo lo smartphone dalla tasca, ce lo piazziamo davanti e pigiamo il dito su quell’iconcina un po’ rossa, un po’ gialla e un po’ viola. Quell’iconcina dai colori caldi, che ti accoglie a braccia aperte, e che sembra voglia dirti vieni da me, qui sei al sicuro. Esatto, Instagram. La droga pesante del ventunesimo secolo, gratuita, accessibile, altamente contagiosa.

Siamo dunque una generazione spacciata, vittima consapevole dell’abuso costante di un social network che utilizziamo come strumento di fuga? Forse sì. Ma non è neanche il caso di spingere così forte l’acceleratore della macchina della disperazione, dal momento che, come ogni strumento, dipende tutto da quanto e da come lo si usa. 

Nel momento in cui la app si apre ai nostri occhi avidi di immagini, ci si parano davanti infinite possibilità. Possiamo andare a fare il giretto settimanale sul profilo dell’ex fidanzato/a, per accertarci che sia ancora solo; possiamo postare la foto della colazione a base di fiocchi d’avena e latte, e aggiungere l’interessante didascalia healthy life; possiamo scorrere decine di fisici perfetti di modelli/e che non vedremo mai, neanche con il binocolo con cui Galilei fece le proprie scoperte scientifiche. 

Se sono qui a scrivere questo articolo, però, è perché voglio proporvi un’alternativa. La pillola che neanche Morpheus avrebbe avuto il coraggio di offrire a Neo: la pillola della cultura. Lo spavento è giustificato, aggrappiamoci a qualcosa, facciamo dieci respiri profondi e seguiamo l’iter di sorta per riprenderci. La cultura non uccide, ma anima. La cultura non annoia, ma infiamma. La cultura non fa invecchiare (forse un po’ sì), ma consapevolizza.  

Per chi sia arrivato a questo paragrafo, non spaventato dall’idea di salire su Instagram per divorare un po’ di arte, consiglio queste due pagine: covidartmuseum e instanetproject. La prima è un vero e proprio museo digitale, che condivide i lavori di artisti provenienti da tutto il mondo; il tema e la forma delle opere sono i più disparati, così da poter lasciare un buon sapore a tutti i palati. La seconda pagina, invece, racconta la storia di un’intelligenza artificiale che acquisisce dei sentimenti e si apre un profilo su Instagram, con lo scopo di osservare da vicino cosa significhi essere umani. 

Andate a trovarli, perché meritano entrambi. Le storie del vostro ex, le foto al cibo, i fisici scolpiti non sentiranno la vostra mancanza. E anzi, a questo proposito, lasciatemi chiudere con una massima in corsivo (assolutamente improvvisata): I bei fisici non hanno bisogno delle nostre attenzioni, l’arte sì. Meditate gente, meditate.

Di Stefano De Putti

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