Chiacchiere con Beatrice, del secondo anno di fotografia
Ciao Beatrice, cosa porta il corso di fotografia per il nothing day?

“Ciao, portiamo un progetto intitolato “Lost in translation” che consiste in una brochure con foto realizzate in analogico sul fronte e dei poster sul retro. Il tema di partenza era un concetto intraducibile a parole, che dovevamo rendere in immagini: io ad esempio avevo Una giornata d’inverno, talmente bella da rimanere in casa a fare niente”.
Poi, insieme a questo, abbiamo un secondo progetto di still life food, dove abbiamo scattato delle fotografie al cibo, modificate attraverso l’AI.”
Perché la fotografia come canale d’espressione?
“Perché mi aiuta a parlare senza parole, visto che faccio fatica a comunicare a voce.
Prediligo l’analogico, sia per la resa che per la realizzazione: questa tecnica ti costringe a riflettere sulla composizione di ciò che vuoi immortalare, perché non hai scatti infiniti. E il rullino costa tanto!”
C’è qualche fotografo a cui ti ispiri?
“In realtà no, ma il mio fotografo preferito è senza dubbio Terry Richardson, soprattutto per il suo utilizzo del bianco e nero”
La fotografia è il mezzo per raccontare te stessa o il mondo?

“Un po’ entrambe le cose. Sicuramente il filo conduttore è l’interiorità, ma sono una grande osservatrice del mondo e mi piace rappresentarlo attraverso la mia lente”
Cosa ti spaventa del futuro in questa professione?
“Mi spaventa la mancanza di lavoro nel settore, se non a patto di esperienze al limite dello sfruttamento. La mia idea è di andare all’estero, dove sento che la professione è più libera e valorizzata. Io non sono figlia d’arte, non ho conoscenze e in un mondo competitivo come questo non avrei molto modo di emergere qui.”
Grazie Beatrice e in bocca al lupo!
Autrici: Zerbi Sofia – Cocchetti Martina