Intervista a Nicoletta Re
In occasione della pubblicazione del suo libro In viaggio per la vita, Nicoletta Re, ex-studentessa Mohole, che ha fondato e gestisce l’Associazione Italiana Leucemia Mielode Cronica, ha fatto quattro chiacchiere con noi. Ci ha raccontato la sua esperienza di malattia e ciò che l’ha portata a concepire e, successivamente, far nascere la sua opera.
Ci racconti un po’ la storia del libro?
Il libro racconta di un’eroina: dopo una carriera nel marketing si ammala e viene catapultata in questo mondo straordinario che è l’ospedale dove in primo luogo dovrà affrontare il suo dolore. Successivamente incontrerà delle persone fantastiche, dei veri e propri maestri che la accompagneranno fuori da questo tunnel.
È una storia di trasformazione in cui sono presenti due trapianti che ho dovuto affrontare, al seguito di questi la manager che c’era è diventata qualcos’altro, ancora non so definirmi ma c’è sicuramente una consapevolezza maggiore di sé stessa. Quell’eroina a dire il vero sono io. Mi hanno diagnosticato la leucemia mieloide cronica, Mi sono sottoposta a due trapianti di midollo.
Dopo l’ultimo ho capito cosa dovevo fare, sono ritornata nel mondo con una nuova saggezza interiore, una nuova responsabilità. Aiutare le persone. Ma non c’è storia senza amore giusto? In questa storia e anche nella realtà la persona che mi è sempre stata accanto è mio marito, l’amore della mia vita.
Mi sono sempre posta una domanda, come può una persona amare un’altra persona quando c’è un dolore così forte? Mi sono data una risposta. È quando ti guarda con gli occhi dell’amore e vede la tua anima, non quello che sei fisicamente. Durante i trapianti sono cambiata, non ero più la donna che aveva incontrato e che poi, grazie a dio, ha anche sposato. Ero dimagrita, uno scheletro, non avevo più capelli insomma non ero più io, però lui ha sempre guardato oltre. Quindi è stata anche una storia dolorosa per noi come coppia, ci siamo anche divisi per poi ritrovarci nuovamente. Mi è sempre stato accanto.

Ci racconti del processo di elaborazione, scrittura e successivamente di pubblicazione del libro?
Banalmente in ospedale scrivevo. Faceva parte della routine che mi ha permesso di sopportare l’isolamento. Sono rimasta trenta giorni in camera sterile.
Alla fine dei trenta giorni mi sono ritrovata con questo diario, e chiedendomi cosa avrei dovuto farmene sono arrivata alla conclusione di volerlo utilizzare come materiale per scrivere un libro.
Però, in merito, non avevo nessuna conoscenza, né di come scriverlo né di come costruire una storia. Dopo aver cercato in internet ho trovato la scuola Mohole. Incuriosita dalla presentazione degli allievi della storia di storytelling, ho deciso di fissare un appuntamento, e sono rimasta colpita dall’ambiente. Come dico sempre le coincidenze non esistono, questo libro doveva essere scritto.
Ho iniziato con un corso di Storytelling. Venendo dal marketing non avevo nessuna base, e dopo il corso dovevamo comunque elaborare tutto ciò che avevo scritto. Sicuramente la parte più complicata è stata trovare un filo conduttore e dare un senso alla storia, cercando di renderla il più gradevole possibile. Aggiungendo delle parti di finzione, devo dire che è uscita una buona trama, che sta producendo gli effetti che desideravo. Il lettore in qualche modo guarisce, riemerge della storia con una nuova consapevolezza e comincia a elaborare il proprio dolore.
In un certo senso, abbiamo tutti vissuti un periodo di isolamento, in questi mesi, e ora stiamo cercando di tornare a una forma di salute.Assolutamente sì. Arrivando da due trapianti dove ero esclusa dal mondo e scandivo la giornata in maniera molto rigida, l’arrivo di questo lockdown non mi ha colto alla sprovvista. Anzi. Ho avuto la possibilità di vivere molto di più con mio marito, e avevo a disposizione una casa intera, non solo tre metri quadrati di camera sterile.
Ci siamo riorganizzati la vita stando insieme.
Di Carlotta Corradi