smartworking

It’s about (smart) time

L’unico treno per tornare a casa a un orario decente era quello delle 18:05. Per raggiungere Cadorna a piedi senza rimetterci un polmone, avevo bisogno di almeno un quarto d’ora. Anche venti minuti, se mi fossi imbambolato davanti a una vetrina. Salvo straordinari, dovevo quindi catapultarmi fuori dall’ufficio alle 17:45 che, tradotto in orario lavorativo, significava essere alla scrivania già alle 8:45. Alla faccia dell’ingresso flessibile…  peccato che l’ultimo treno da Legnano adatto alle mie esigenze fosse quello delle 07:20 con arrivo a Milano per le 08:17, dopo due cambi a Busto Arsizio.  Al tempo, prima di salire in ufficio, mi infilavo nel McCafè all’incrocio, dove trangugiavo un caffè bruciato sopra una brioches già loffia, come me. Così, quattro anni fa, ho iniziato col puntare la sveglia alle 6:10. A febbraio di quest’anno, a forza di esperimenti e perfezionamenti continui, ero arrivata a metterla alle 6:40, al limite delle possibilità umane, come Fantozzi. Tutto calcolato sul filo dei minuti: cinque per riprendere conoscenza, più altri quattro per superare il quotidiano impatto con il nuovo giorno. Per una mezz’ora di sonno in più, avevo iniziato a farmi la doccia di sera, appena rientrata. Risparmiati altri dieci minuti sulla colazione, ne avevo ben venticinque per lavarmi i denti, vestirmi e truccarmi. Mi restava dunque ancora un patrimonio di cinque minuti per salire in macchina e sgommare fino alla stazione. Tutto questo salvo tragici imprevisti.

Ho sempre pensato che ne valesse la pena, per il lavoro dei miei sogni. E anche per i relativi benefit: scontistiche varie, premi di produzione e, in caso di necessità, un giorno di smart working a settimana. È per questo che lavoriamo solo su laptop collegati alla rete aziendale. Non si parlava ancora di pandemia, lo scorso 6 marzo. “È meglio che portiate a casa i pc.” suggerì il boss, profetico. E lockdown fu, lunedì 9.
Ci siamo fermati solo un giorno, per capire come si sarebbero mossi i nostri clienti e partner, e siamo subito passati allo smart working, cinque giorni su cinque.

Le prime mattine mi svegliavo ancora alle 6:40. Chiudevo gli occhi per riaddormentarmi, ma il mio orologio interiore scandiva il tempo come prima, ignaro di tutto. Allora mi alzavo e mi preparavo come al solito, per ritrovarmi alle 7:15 a ciondolare per casa in attesa delle nove. La prima settimana ho ripreso a fare colazione con latte e cereali, dalla successiva ho anche iniziato la giornata con una lunga doccia calda. All’inizio non è stato facile mettersi ai fornelli all’ora di pranzo. Non avevo né la voglia né la fantasia di pensare a qualcosa di nuovo per ben due pasti. Era più semplice per la sola cena, e a volte nemmeno quella, grazie agli happy hour in compagnia. Così, alla prima spesa, mi sono caricata come un mulo di cibi precotti e surgelati che, senza tutto quello scarpinare da e per Cadorna, si sono presto trasformati in cinque nuovi chili. Con i blog di ricette sane e gustose e i video di workout su Youtube, Internet si è rivelato una manna dal cielo contro quella malefica pancetta. La fortuna di vivere in un monolocale tutto mio si è invece rivelata un’arma a doppio taglio. Niente pausa sigaretta in compagnia, niente caffè alle macchinette, nessuna condivisione di successi e frustrazioni con il resto del team. Con Alessia e Giulia, poi, siamo più che semplici colleghe; viviamo vicine, e spesso il sabato sera si andava a sbocciare in discoteca. Almeno ad agosto ci siamo rifatte con dieci giorni on the road in Puglia, con mascherine glitterate al seguito. 

Al rientro dalle vacanze, l’azienda ci ha chiesto di proseguire con lo smart working. Per adesso la sveglia suona ancora alle 8:15: ho sempre bisogno di quei dieci minuti per venire a patti col mondo. Dopo la doccia faccio colazione in vestaglia, e poi finisco di prepararmi. Alle nove sono operativa davanti al pc e stacco alle diciotto in punto, nemmeno timbrassi il cartellino. Finalmente con Alessia ci siamo iscritte in palestra, tre volte la settimana, e sto seriamente pensando di prendere parte alle prossime selezioni di Masterchef. Ci ho guadagnato in qualità della vita. Ma chissà per quanto si andrà avanti così. 

Ieri, al rientro da un meeting in sede, il boss ci ha mandato una foto della tavola calda sotto l’ufficio. Sulla serranda abbassata, il cartello “Cessata attività”.

Di Ginevra Borgnis

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