La doccia più fredda

La giovane siede nella sala d’attesa, tiene le gambe composte senza riuscire a non farle tremare. L’infermiera attraversa la stanza dal corridoio dei reparti, indossa un lungo abito di plastica trasparente, una maschera e degli occhialoni. A ogni passo si lascia alle spalle delle orme bagnate. La giovane si alza, e l’infermiera togliendosi i guanti le fa segno di fermarsi.

Stia lontana, le dice, potrà seguirmi, ma faccia la massima attenzione. L’infermiera e la giovane camminano nel lungo corridoio dei reparti, incontrano qualche figura in tuta e maschera antigas che depura la zona spruzzando acqua su muri e pavimenti.

L’infermiera indica un carrello vicino a una porta chiusa. Metta i guanti, le dice, e anche una maschera. Sulla porta risalta la scritta in cirillico rosso: “Camera di contenimento.” La porta si apre su una stanza ampia, al centro un letto circondato da una tenda di plastica trasparente. Sul letto un uomo appare morto, ma respira in maniera rumorosa.

Non superi la tenda per nessun motivo, le dice, non lo tocchi, mi raccomando. E sarà meglio per lei lasciare fuori ogni oggetto che non vuole che si bagni, una volta fuori dovremo farle una doccia decontaminante.

La giovane si addentra nella stanza, avvicinandosi al letto nota i vari macchinari connessi all’uomo: un respiratore che stantuffa aria in un erogatore, un elettrocardiogramma che pulsa a intermittenza, e un contatore Geiger che gratta leggermente l’aria.

L’uomo, circa ogni due minuti, si lascia sfuggire un lamento di dolore, probabile effetto delle lacerazioni che nasconde sotto alle bende. Coricato sul fianco l’uomo sogna di non trovarsi lì. La giovane siede sull’unica sedia della stanza, distante circa un metro e mezzo dalla tenda trasparente, con occhio ansioso osserva l’uomo che fino a pochi giorni prima conosceva benissimo.

Un pesante colpo di tosse costringe la giovane ad alzarsi e a poggiare una mano sulla tenda. L’uomo, ormai sveglio, ruota con fatica il busto per osservare il suo ospite. Gli sguardi, nell’incontrarsi, sorridono. L’uomo allunga una mano verso la tenda, che prima di raggiungerla ricade penzoloni sul letto.

Passa un quarto d’ora quando l’infermiera torna nella stanza. Apre la porta senza bussare, e sulla soglia avvisa la giovane donna che l’orario delle visite è terminato. La donna, per un’ultima volta, poggia lo sguardo sull’uomo steso nel letto, che s’impegna a tenere gli occhi aperti e impiantati in quelli della donna.

Senza una parola la donna esce dalla camera.

La doccia di decontaminazione fu la più fredda che lei abbia mai fatto, eppure non se lo ricorda nemmeno.

Di Filippo Galimberti

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