caramelle di murano

Le caramelle di Murano

Sul basso tavolino di cristallo, in una ciotola d’argento Sheffield, nonna Jole offriva agli ospiti una manciata di caramelle in vetro di Murano. La andavamo a trovare ogni terza domenica del mese. In punta di piedi, suonavo per quattro volte di seguito il bottoncino dorato del campanello. Era il nostro segnale segreto; lei veniva ad aprire senza preoccuparsi di guardare dallo spioncino, e così la potevo sorprendere con una guantiera dei nostri pasticcini preferiti. Per tutti questi anni, il suo stupore è sempre stato autentico.

Le caramelle erano variopinte e fragili, souvenir e bomboniera al tempo stesso. Gliele aveva regalate il nonno, durante la luna di miele. Sono stati sposati per ventinove anni. Lui è mancato un anno prima che nascessi. Quando saltavo sul suo lettone, nel tentativo di toccare il soffitto, ogni tanto l’occhio cadeva sulla foto delle loro nozze sul comodino, nella cornice di legno che lui le aveva intagliato come regalo per il sedicesimo compleanno. Faticavo a riconoscerla, senza l’argento dei capelli e le scie degli anni sul viso. Avevano ripiegato su una celebrazione modesta, raccontava nonna Jole, per permettersi il viaggio a Venezia; un vestitino da cerimonia al ginocchio color panna, da sfruttare anche in altre occasioni, un bouquet di gerbere e un pranzo coi rispettivi genitori e testimoni. Il suo sorriso mi sembrava sincero.

Nonna e nipote

Quando giocava con me, nonna Jole indossava i suoi gioielli più vistosi e, seduta sul divano color crema, accavallava con eleganza le gambe coperte da collant di seta fumé. Grazie al salotto dal mobilio barocco, carico di intarsi dorati e zampe di leone, le bastava fumare una sigaretta invisibile da un bocchino d’epoca e parlarmi con un ridicolo accento snob per deliziare la mia fantasia di bambina.

Era un negozio di dolciumi di lusso, il mio. Degno del viavai sofisticato di Galleria Vittorio Emanuele. Mi inginocchiavo sul tappeto a pelo raso e, mentre tiravo fuori dalla ciotola le caramelle, la invitavo a cogliere nell’aria il sentore di cannella e arancia del suo potpourri preferito. Le sistemavo davanti a lei una a una, con religiosa attenzione, ogni volta secondo un diverso criterio: grandezza, colore, costo, gusto. La mia preferita aveva le estremità azzurre e arricciate, il corpo tondo e argenteo con alcune murrine floreali, e la immaginavo di un gusto fantastico: pandoro con canditi e mascarpone, o torta di compleanno. Ma cercavo di comportarmi con imparzialità, come, secondo me, avrebbe fatto un’impeccabile commessa. Anche perché tutto, nel mio negozio, era delizioso.

La nonna si divertiva a tenermi sulle spine fino all’ultimo. Sceglieva una caramella, la rigirava tra le dita laccate di ciliegia e quando sembrava appoggiarla nel mio piccolo palmo, ecco che la ritraeva di colpo, optando per un’altra. Solo dopo aver trovato un difetto in tutte le altre sceglieva la mia prediletta, e io le saltavo al collo, esultante. Con quella caramella lei aveva scelto me. Ho atteso il suo lento tacchettare dietro la porta e lo scattare della serratura anche lo scorso 24 maggio. Tamburellavo sul fondo del cabaret con dita impazienti; era la prima volta dopo il lockdown, volevo abbracciarla forte. Due volte ho ripetuto il nostro trillo, ma la porta l’ha dovuta aprire mio padre con le chiavi di riserva, dopo una manciata di secondi di silenzio. Infiniti.
Dopo il rito della telefonata serale, la nonna si era seduta sul divano color crema, come una cliente in attesa, e si era addormentata per sempre. Un ictus fulminante.

Andiamo ancora a trovarla ogni terza domenica del mese, ma adesso le portiamo un soffice bouquet di crisantemi, bianchi come la panna di un bignè.
Nel suo testamento, ha lasciato a me le nostre caramelle di Murano.

crisantemi

Di Ginevra Borgnis

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