Notte prima del TOLC

Mi sento a disagio nella mia stanza. Non mi era mai successo, ma non riesco a togliermi questa sensazione fastidiosa di dosso. Guardo la scrivania che non è al solito posto e riesco ad ammettere a me stessa che senza tutti i quaderni, i fogli, le merendine e i vestiti usati a metà, ammassati sopra a caso, quasi non la riconosco. Mi giro nel letto in modo da guardare la porta. Non ci sono nemmeno tutte le polaroid che avevo attaccato da anni. Mi rigiro, guardo la finestra che almeno è sempre uguale. Ripenso a tutto quello che è successo in un anno, visto che di dormire non se ne parla. Grazie agli Accadde oggi di Instagram so che sono passati esattamente 365 giorni da quando ho dato l’esame di recupero di inglese. Quell’infame mi ha messo solo sei in pagella anche se avevo studiato tutta l’estate. Poi i mesi fino a dicembre, normali. Scuola, amici, casa, scuola, amici, casa. Le vacanze di Natale, con tutto il solito stress aggiunto alla fatidica domanda: “Ormai mancano pochi mesi alla maturità, cosa farai dopo?” a cui avrei tanto voluto rispondere con “Non ne ho idea zia Sara, ma sicuramente qualcosa che tu non approveresti mai”. Sorrido mentre schiaccio la testa contro il cuscino, in effetti la faccia che ha fatto qualche giorno fa è stata impagabile. “Servizio sociale? Ma è da matti!” mi ha urlato con quella vocetta isterica da zia fastidiosa che chiunque, purtroppo, ha ben presente. Ogni giorno, dal 24 febbraio in poi, è stato da matti. Lezioni online fatte a caso, professori più assenti degli studenti, niente amici, niente feste, niente cinema. Ma soprattutto, ventiquattro ore al giorno con mia madre. Solo a ripensarci un brivido mi percorre la schiena.Mi alzo dal letto per aprire la finestra. Guardo fuori e sorrido, domani pomeriggio vado a fare aperitivo con le mie migliori amiche. Prima, però, c’è il motivo per cui di martedì sera (Martedì! Che c’è lo spritz a 3 euro in biblioteca!), pochi mesi dopo la fine della quarantena, sono nel mio letto alle dieci e mezza. Domani mattina devo fare il TOLC, ovvero l’esame più assurdo dell’universo per entrare in università.Ottomila pagine di spiegazione di come va posizionato il computer, mezza su che cosa mi verrà effettivamente chiesto. Sbuffo e mi siedo, che tanto sono sveglia.

Controllo tutto di nuovo: Scrivania vuota, con solo qualche foglio bianco e una penna. La presa del computer già attaccata, il pc messo bene tra quei pezzi di scotch che segnano il punto esatto perché dalla telecamera si veda la porta, la scrivania e il resto della stanza. Il comodino messo a quarantacinque gradi rispetto alla scrivania e distante un metro e mezzo, anche questo segnato con lo scotch… il post-it con le regole più importanti di inglese attaccato all’unico punto della scrivania non inquadrato dalla telecamera, questo è fondamentale. Vado in cucina a prendere dell’acqua, ma mi fermo a metà perché non ho sete. Non ho sonno, non ho niente. Sono in ansia. Ho preparato la camicia per domani mattina da mettere sopra ai pantaloni del pigiama con gli orsetti. Secondo mia madre dovrei mettere almeno i jeans, ma non ho capito perché devo stare pure scomoda. Guardo l’ora, sono le undici. Mi lancio di nuovo sul letto e chiudo gli occhi, come se bastasse per addormentarsi. Li riapro dopo un secondo per controllare la sveglia. L’esame è alle nove, mi serve il tempo di una doccia e la colazione. La metto alle otto, per sicurezza, anche se ne ho già una alle otto e un quarto. Tanto, mentre chiudo gli occhi per davvero, lo so già che mi alzerò alle nove meno dieci.

Di Gaia Chierichetti

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