Tra le varie categorie di lavoratori che hanno subito il devastante effetto Covid-19 sulla propria economia, ne esiste in particolare una che sembra si abbia paura anche solo di nominare: parlo delle prostitute, quelle che oggi vengono chiamate pudicamente sex workers per paura di offendere chissà chi… probabilmente più il cliente che la prostituta stessa.
La domanda che mi pongo è come sia possibile fornire in sicurezza il servizio sessuale, che tanti definirebbero anche di prima necessità, quando non esiste una tutela né nei confronti di chi offre la prestazione, né nei confronti del cliente. Certo ci sono quelle che aprono la porta con la mascherina, e quelle che si disinfettano prima e dopo il servizio. Ma siamo sicuri che sia sufficiente?
In Svizzera e in Svezia le ragazze che lavorano in questo modo seguono un decalogo con diverse norme da seguire: l’areazione delle stanze per 15 minuti tra un cliente e l’altro, la distanza delle bocche, il lavaggio a 60 gradi di lenzuola e asciugamani, per esempio. Anche per le posizioni esistono dei consigli: la più sicura è quella della cavallerizza al contrario. O almeno così sostiene una portavoce delle sex workers svedesi.
In Italia lo scambio di servizi sessuali per denaro è un affare lecito, ma senza regole: vengono puniti il favoreggiamento, lo sfruttamento e anche l’organizzazione in luoghi chiusi. Esistono due grandi categorie di prostituzione: quella coatta “da marciapiede”, e quella di lusso.
Le difficoltà maggiori, in un periodo di lockdown, sono per la prima categoria: donne con guadagni sui 60 euro al giorno, ritrovatesi senza lavoro, con affitti da pagare, con famiglie da mantenere, e senza nessun tipo di tutela. Per la seconda, è più semplice immaginare che si possa sopravvivere senza grandi problemi, essendo attività che portano a fatturati anche di 20/30 mila euro al mese, con spese relativamente basse.
Nel nostro Paese quello della prostituzione resta un argomento tabù. Tra chi sostiene che esistano categorie più nobili da difendere, e chi non vedendo più lucciole per strada si è convinto che si trovino in vacanza o tornate nel paese d’origine, è difficile trattarlo e non viene stipulata una regolamentazione precisa ed efficace.
Al di là dell’etica di questi discorsi, mi sento di fare una provocazione: l’uomo, essendo esso stesso un animale, vive di diverse necessità come mangiare, bere, essere libero di esprimersi e… fare sesso.
Non si tratta di “tenerselo nelle mutande per tre mesi”: esistono categorie di persone al di fuori delle coppie di ragazzi separati dal lockdown, che non potranno far ritorno alla propria vita sessuale.
Parlo di quelle persone come possono essere i disabili o i medio-anziani, che rientrano anche negli elementi più a rischio. Parlo di persone che per traumi legati al passato non avranno rapporti normali con l’altro sesso, e sono obbligate ad andare a prostitute per avere piacere fisico.
Non parlare di un problema non lo fa scomparire, servono leggi chiare sulla prostituzione, protocolli di prevenzione e di comportamenti da seguire una volta che viene individuato un tampone positivo tra cliente o escort.
Limitare i contagi, nel rispetto della libertà del cittadino, senza dimenticarsi delle categorie fantasma: solo così sarà possibile salvaguardare quello che è il mestiere più antico del mondo.
Di Luca Corradini