Tèchne Culinaria

Dopo due settimane chiusa in casa, ho scoperto che esiste un limite di pigrizia anche per me: ho sentito la necessità impellente di alzarmi, togliermi il pigiama e fare qualcosa. Fare proprio qualcosa di materiale, che non fosse leggere un libro, vedere un film o ascoltare un album. Carica di questa sensazione, ho messo scarpe e mascherina, ho fatto i soliti quaranta minuti di coda davanti al supermercato, e quando sono entrata mi sono precipitata al reparto pasta e farina, per scoprire il dramma: il vuoto più totale. Era rimasta giusto la farina di castagne, che costava circa un rene e mezzo. 

Ripenso oggi al piacere che ho provato quando sono finalmente riuscita a reperire la preziosa 00 e a sfornare il primo pane: non mi andava nemmeno di mangiarlo, e certo i commenti positivi dei commensali con le bocche piene mi allietavano, ma dentro di me aspettavo solo che finissero quel maledetto pane per poterne cucinare un altro. Quel piacere così appagante e soddisfacente si manifestava nel preciso istante in cui aprivo il forno e osservavo la mia creatura dorata, finalmente pronta e profumata.

Mi ero accorta che non si trattava più di nutrimento quando, per il 25 aprile, ho deciso di decorare una torta con la pasta di zucchero rossa bianca e verde. Poi non l’ho mangiata. Ma scorrere la ricetta, dosare le polveri e i liquidi, mescolare senza creare grumi, impastare con vigore… Dare forma a qualcosa, emozione pura.

Ho pensato che la quarantena mi avesse dato alla testa: una persona mentale come me che improvvisamente sente la necessità di creare cose con le mani, assurdo. Poi però ho iniziato a riflettere e ho riscontrato che quel piacere di sfornare era molto simile a quello che provo quando finisco di scrivere un racconto. È poi tanto diverso alla fine fare un pane dallo scrivere un libro?

Visto che il tempo non mi manca, ho iniziato a fare qualche ricerca sul tema, e ho scoperto che in realtà la distinzione tra arte e tecnica manuale è piuttosto recente, e ha una causa etimologica: il termine arte infatti ci è arrivato dal latino ars, mentre il sostantivo che indica arte in greco antico è tèchne, che ha dato origine al termine tecnica, così che i due termini si sono man mano sempre più allontanati, nonostante in origine fossero corrispondenti.

Infatti nell’antica Grecia tèchne era il termine che designava l’arte, che si delinea più precisamente come il concetto di saper-fare. Aristotele, nell’Etica Nicomachea, parla dell’arte secondo questa concezione: 

“Ogni arte (tèchne) concerne il far venire all’esistenza, e usare l’arte è considerare come è possibile far venire all’esistenza una di quelle cose che possono sia essere che non essere e il cui principio è in chi produce e non nella cosa prodotta.”

(Eth. Nic. 1140a)

Ho capito quindi come in greco antico il termine tèchne appartenesse all’area semantica della scienza e del sapere, e così è stato anche nel Medioevo latino quando con ars si indicavano quelle discipline che concernono il sapere, ovvero le arti liberali come la grammatica, la retorica o la logica.

Il sostantivo artigiano racchiude ancora questo dualismo nella nostra lingua: l’artigiano è colui che crea un oggetto seguendo tecniche che conosce con precisione. Non è una definizione tanto diversa da quella che potrei dare alla parola artista, anche se nel senso comune si pensa spesso che un artista si muova nel campo dell’irrazionale, mentre un artigiano si dedicherebbe ad applicare delle tecniche specifiche. Nella realtà invece mi sono accorta di quanto ogni artista sia molto più simile a un artigiano che a un mago: quando oggi mi metto a scrivere un testo ho bisogno di padroneggiare una tecnica e di seguire regole razionali, così che mi è naturale definire un artista come un individuo che sa-fare, secondo il concetto aristotelico.

E così non mi sembra più tanto strano che nel momento in cui sono stata privata della mia produzione creativa quotidiana abbia sentito la necessità di applicare l’atteggiamento creativo al luogo di produzione che avevo più a portata di mano: la cucina di casa. Comunque dopo la fine del lockdown ho ricominciato a comprare cibi precotti.

Di Sara Genovesi

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