Tema sulla Zia Belva – PARTE I

La pistola più sveglia, e veloce, del West.

Zia Belva

Un sole rosso di un pomeriggio caldo prendeva tutta la scena, e con i suoi raggi di fuoco invadeva tutto il deserto circostante impedendo ad ogni forma di vita di uscire allo scoperto.

Ma all’improvviso a rubare la scena non era più quella dannata palla infernale chiamata sole, ma un cavallo. Il cavallo era di razza, e nero come la pece. Scusate come notte, cosa molto rara da vedere nel deserto, ma la cosa che spiccava di più era il suo cavaliere: un ragazzo di corporatura allenata, e con un viso lucente, e ignoto, e con un perfetto vestito alla gentleman di color nero, con degli stivali con attaccati gli speroni, e come copricapo aveva una elegante bombetta tutta nera.  

Il cavallo era al passo veloce aumentato sempre di più dal cavaliere, ma lui non abbandonava per nessuna ragione la sua posa da perfetto gentleman. Infatti dopo un po’ cadde rischiando l’osso del collo, picchiando i suoi teneri su un cactus. Urla lancinanti echeggiavano nel deserto.

Comunque il tutto pareva duro fino alla comparsa in lontananza di un paesino chiamato dai locali Busto Arsizio.  Alla vicinanza con il paesino il cavaliere cominciò a far rallentare il suo cavallo fino ad arrivare a un trotto leggero e in fine alla passeggiata. Il cavaliere si diresse con molta casualità verso alla prima baracca che assomigliasse a un bar o a un fast-food, o a un hotel, smontò da cavallo e lo legò al primo palo dove c’era l’abbeveratoio per gli animali. Prese il grosso borsello legato alla sella e prima di incamminarsi accarezzò il cavallo sulla fronte vicino alla sua criniera dicendo, ehi Fred ci siamo bello mio finalmente. L’uomo dopo aver fatto un po’ di passi si accorse che il suo fidato destriero era scomparso. Il cavaliere tornò verso la strada e lo rivide in lontananza che correva velocemente verso il deserto. Il giovane cavaliere pensò che era ormai il decimo cavallo che chiamava Fred, e che poi scappava via. Comunque ora si poteva vedere meglio il giovane cavaliere, e aveva una semi barba di color rosso scuro, con delle cicatrici sulla fronte, e con degli occhi color fanghiglia, ma la cosa più singolare era la pistola che aveva nel suo cinturone, il manico della pistola era ben decorato con un pregiato legno di quercia.

Ma la camminata del giovane uomo si fermò subito, c’era un problema prima di proseguire: scegliere dove andare. E qui son cazzi, pensò, o all’hotel, o al bar. Il giovane uomo molto saggiamente scelse l’hotel e ricominciò a camminare verso il luogo da lui scelto correndo stile Heidi e le caprette che fanno ciao. La porta d’ingresso era molto elegante come lui stesso, era come un richiamo per lui, come Ulisse con le sirene nel golfo di Salerno = sushi. Appena entrato si fermò per contemplare la bellezza o il ribrezzo del posto, pensando ovviamente che l’abito non fa mai il monaco e quindi bisognava prima vedere e poi giudicare. Fatto ciò individuò e si diresse subito al tavolo del servizio dell’hotel e chiese alla governante bacucca di nome Milf di preparargli subito la miglior stanza con il miglior servizio mettendogli anche due bellissime intrattenitrici. La governante si mise gli occhiali e molto spocchiosamente chiese il nome e il cognome per la prenotazione, il giovane uomo si fece chiamare e scrivere con il nome di (Zia-Belva-Tamarro) e di cognome (Zibibbo). La governante mentre scriveva il nome ordinò agli inservienti di preparare subito la stanza speciale. Ancora prima che Zia Belva aprisse di nuovo bocca, la governante gli chiese per quanto tempo si sarebbe fermato da loro. Zia Belva da gran gentleman rispose, giusto il tempo che servirà Milf. La governante sentendosi leggermente e lussuriosamente offesa se ne andò subito a preparare la stanza, sbuffando di sotto tono.

La Zia Belva lasciò tutte le sue robe vicino al bancone, tutto tranne il borsone che teneva a tracolla, e uscì di nuovo per prendersi una boccata d’aria fresca, e per svuotarsi. Appena uscito controllò subito che il suo cavallo avesse bevuto. Ah giusto! Il cavallo era scappato. In tutto ciò non poteva non adocchiare il bar accanto all’hotel, se l’era proprio dimenticato, ma rimediò subito, si rimise il borsone a tracolla e si diresse verso l’entrata. Tiro giù il borsone dalla schiena per usare entrambe le braccia. Appena entrato non vide niente all’inizio, c’erano solo un sacco di figure scure, ma pian piano che entrava si facevano sempre più chiare e diverse tra di loro.

(To be continued…)

Della Zia Belva

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